Taiwan: tradimenti e spionaggio pro Cina mettono a rischio la sicurezza dell’isola. Coinvolti militari, funzionari governativi e membri delle Forze di Sicurezza presidenziale

Di Giuseppe Gagliano*

TAIPEI. La vicenda che ha travolto Joseph Wu, figura di spicco come Direttore dell’Agenzia di coordinamento dell’Intelligence di Taiwan, si inserisce in un contesto già teso, dove la pressione di Pechino su Taipei si fa sempre più asfissiante.

Joseph Wu, figura Direttore dell’Agenzia di coordinamento dell’intelligence di Taiwa

Il tradimento di un ex assistente, accusato di spionaggio per conto della Cina, non è solo un duro colpo alla credibilità personale di Wu, ma mette a nudo le fragilità strutturali di un sistema che deve fronteggiare un avversario tanto subdolo quanto determinato. La notizia, emersa con forza nei media internazionali, ha scosso l’opinione pubblica taiwanese, alimentando dubbi sulla capacità delle istituzioni di proteggere i propri segreti in un momento cruciale per la sicurezza nazionale.

L’ex assistente, secondo quanto riportato, avrebbe utilizzato un’App di messaggistica criptata per trasmettere informazioni sensibili a Pechino, un dettaglio che sottolinea la sofisticazione delle operazioni di intelligence cinesi.

Questo scandalo non è un caso isolato: negli ultimi anni, Taiwan ha dovuto affrontare una serie di episodi di spionaggio che hanno coinvolto militari, funzionari governativi e persino membri delle Forze di Sicurezza presidenziale.

Dal 2020, secondo un rapporto dell’Ufficio per la Sicurezza nazionale di Taiwan, ben 159 persone sono state accusate di aver passato segreti alla Cina, tra cui soldati, generali e assistenti presidenziali.

Un caso emblematico è quello di un Tenente Colonnello dell’Esercito taiwanese, condannato a nove anni di carcere per aver complottato per rubare un elicottero CH-47 Chinook con l’intento di farlo atterrare su una nave cinese, in cambio di una promessa di 15 milioni di dollari.

Un momento di un’esercitazione a Taiwan

Questi episodi rivelano una strategia di Pechino che punta a infiltrarsi nei gangli vitali dell’apparato statale taiwanese, sfruttando avidità personale, ambizione o, in alcuni casi, il ricatto.

Joseph Wu, in qualità di segretario generale del Consiglio di Sicurezza nazionale di Taiwan, si trova ora in una posizione delicata.

La sua immagine, già sotto pressione per le crescenti tensioni con la Cina, è stata ulteriormente offuscata da questo scandalo.

Le riforme che sta cercando di promuovere – necessarie per rafforzare il controspionaggio e limitare l’interferenza cinese – si scontrano con un clima di sfiducia.

Taipei deve affrontare non solo la minaccia militare, con le continue esercitazioni cinesi nello Stretto di Taiwan, ma anche un’azione di “sovversione vecchio stile” che Pechino utilizza per erodere dall’interno la coesione dell’isola.

La propaganda cinese, accompagnata da campagne di disinformazione e cyberattacchi, amplifica ulteriormente questa pressione, come evidenziato dalle analisi dell’Industrial Technology Research Institute, che ha denunciato attacchi mirati al settore dei semiconduttori taiwanesi per carpire segreti tecnologici.

Il caso dell’ex assistente, emerso il 10 giugno scorso  tramite un post su X, getta luce su un dettaglio preoccupante: l’uso di un’app telefonica segreta per comunicare con Pechino, un metodo che indica un livello di sofisticazione e audacia nelle operazioni cinesi. Questo scandalo ha messo in discussione non solo la sicurezza dei protocolli interni, ma anche la capacità di Wu di mantenere il controllo su un’agenzia che dovrebbe essere il baluardo contro le infiltrazioni straniere. La mancata dimissione di Wu, nonostante le critiche, suggerisce che il governo di Taipei stia cercando di minimizzare l’impatto politico, ma il danno d’immagine è innegabile.

Nel frattempo, Pechino continua a sfruttare ogni crepa nel sistema taiwanese.

La Cina, come emerso da un’inchiesta dell’Agenzia di stampa Reuters, ha orchestrato una campagna sistematica per compromettere la leadership militare e civile di Taiwan, con l’obiettivo di raccogliere informazioni sulla pianificazione della difesa e minare la fiducia nei leader dell’isola.

La proliferazione di spie, spesso motivate da incentivi economici, evidenzia un problema sistemico:

Taiwan fatica a “estirpare ogni erbaccia dal proprio giardino”, come hanno sottolineato analisti militari taiwanesi e americani. Questo è particolarmente critico in un contesto in cui un’eventuale guerra nello Stretto di Taiwan potrebbe vedere le spie cinesi come una “quinta colonna” capace di offrire a Pechino un vantaggio strategico decisivo.

Le riforme proposte da Wu, che includono un rafforzamento delle leggi sulla sicurezza nazionale e misure per proteggere settori strategici come quello dei semiconduttori, sono cruciali ma difficili da implementare in un clima di crescente scetticismo. La leadership taiwanese deve non solo contrastare le minacce esterne, ma anche ricostruire la fiducia interna, un compito reso ancora più arduo da scandali come questo.

Intanto, la Cina osserva, pronta a sfruttare ogni passo falso, mentre la comunità internazionale, con gli Stati Uniti in prima linea, guarda con apprensione a un’isola che rappresenta un nodo geopolitico cruciale nell’Indo-Pacifico.

In questo scacchiere, dove ogni mossa è calcolata, Taiwan si trova a combattere una guerra silenziosa, fatta di spie, tradimenti e tecnologia. La posta in gioco non è solo la sicurezza dell’isola, ma il suo stesso futuro come baluardo democratico di fronte alle ambizioni egemoniche di Pechino.

*Presidente Centro Studi Cestudec

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