Di Fabrizio Scarinci
KIEV. Come più volte sottolineato dai vertici ucraini, l’esercito di Kiev si trova, ormai da diverse settimane, a fronteggiare una delle più violente offensive russe dall’inizio della guerra.
Tale azione si starebbe concentrando soprattutto nella regione del Donbass, con numerosi sfondamenti nell’area del Donetsk, nonché sul fronte meridionale, dove, soprattutto nella zona di Zaporizhzhia, le forze di Mosca starebbero progressivamente intensificando le proprie operazioni.
Dal canto loro, le forze di Kiev, inferiori sia nei numeri che nei mezzi, non possono far altro che arretrare.
Nel frattempo, starebbero continuando, in maniera incessante, anche i bombardamenti di Mosca contro il territorio e le infrastrutture critiche dell’ Ucraina, che, come riportato dalla CNN, sarebbe stato bersagliato, durante la scorsa settimana, da oltre 900 ordigni, circa 30 missili e quasi 500 droni kamikaze.
In aggiunta a tutto ciò, come numerosi media hanno riportato nel corso degli ultimi giorni, si segnala anche l’arrivo di forze nord-coreane a supporto di quelle di Mosca.
Si tratterebbe, in particolare, di un contingente stimato in 8/10.000 uomini; di certo non decisivo ma comunque indicativo di quanto Mosca sia tutt’altro che isolata.
Stando a quanto si avuto modo di apprendere, almeno una parte delle truppe inviate da Pyongyang starebbe già operando nella regione russa del Kursk, notoriamente oggetto, nel corso dell’estate, di un’offensiva ucraina mirante sia a creare un diversivo dal fronte principale, sia a migliorare la posizione negoziale di Kiev in vista di eventuali trattative.
Per gli ucraini si tratta, quindi, di una fase decisamente complicata, che potrebbe portare, nel giro di qualche mese, alla perdita dell’intero Donbass o di gran parte di esso.
Come noto, Kiev, che intenderebbe reclutare altri 160.000 uomini, si lamenta da tempo dell’enorme lentezza che caratterizzerebbe l’arrivo degli aiuti militari occidentali.
Stando a quanto riportato dal Kyiv Independent, ad esempio, solo il 10% delle forniture approvate ad aprile dal Congresso USA dopo una lunga e, certamente, non salutare situazione di stallo sarebbe effettivamente giunto in Ucraina; decisamente troppo poco al fine di fronteggiare una Russia che, pur tra mille difficoltà, gode comunque di considerevoli risorse e del supporto di diversi partner.
Ovviamente, sul futuro andamento del conflitto ucraino, il risultato delle elezioni presidenziali attualmente in corso negli USA giocherà un ruolo molto importante.
A riguardo, i due candidati esprimono posizioni notoriamente molto diverse l’una dall’altra; se la democratica Kamala Harris sembrerebbe incline, almeno per ora, a continuare con la linea dell’Amministrazione Biden (ossia quella del sostegno a Kiev “per tutto il tempo necessario”), l’ex Presidente repubblicano Donald Trump, per lungo tempo sostenitore della necessità che USA e Russia migliorassero le proprie relazioni reciproche, ha più volte dichiarato la propria intenzione di ricercare una qualche forma di mediazione basata sui risultati del campo di battaglia.
Al di là di chi sarà il vincitore, tuttavia, la cosa più probabile è che, presto o tardi, Washington e i suoi alleati europei inizino comunque a spingere affinché Kiev si sieda al tavolo delle trattative.
Del resto, per vincere davvero contro la Russia (laddove per vittoria si intendesse il respingimento delle sue truppe al di là della linea di confine del febbraio 2022) bisognerebbe, per forza di cose, intervenire in maniera diretta, col rischio, come tutti sanno, di provocare un conflitto nucleare ad altissima intensità.
Cosa potrebbe succedere dopo un’eventuale trattativa è, ovviamente, difficilissimo da prevedere.
Per ora le maggiori istituzioni occidentali insistono sul fatto che il destino di Kiev sia quello di legarsi al contesto euroatlantico.
Quanto tempo potrebbe volerci non è, però, dato saperlo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA