Azerbaigian, la condanna dei responsabili di Khojaly per il ripristino della giustizia

Di Domenico Letizia*
Roma. Quest’anno si ricorda i 26 anni dell’eccidio di Khojaly, il massacro di centinaia di civili ad opera delle Forze militari dell’Armenia compiuto nella notte del 25 febbraio del 1992 e che ebbe un bilancio di 613 vittime, quasi la metà delle quali bambini, donne ed anziani, cui non furono risparmiate violenze ed atrocità.
Nel 2017 Italia ed Azerbaigian hanno festeggiato i 25 anni di relazioni diplomatiche e questa è stata un’occasione per parlare anche del conflitto e delle prospettive di soluzione dello stesso.

Il tema è anche tra le priorità della presidenza italiana all’OSCE, a cui l’Azerbaigian ha fatto esplicito appello. Per approfondire le varie problematiche e ricordare questo triste anniversario Report Difesa ha intervistato l’ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian in Italia, Mammad Ahmadzada.

L’ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian in Italia, Mammad Ahmadzada

Cosa possiamo dire di questa tragedia e del grado di conoscenza in Italia degli eventi tragici di Khojaly?
Quella di Khojaly fu la massima espressione dell’atrocità delle Forze militari dell’Armenia contro la popolazione civile azerbaigiana e rappresenta l’incarnazione dell’essenza dell’aggressione dell’Armenia contro l’Azerbaigian, le cui conseguenze sono l’occupazione della regione azerbaigiana del Nagorno Karabakh e di 7 distretti circostanti – in totale il 20% del territorio dell’Azerbaigian, la pulizia etnica contro tutti gli azerbaigiani che vivevano in quelle zone e l’espulsione di 1 milione di azerbaigiani dalle loro terre natali e la distruzione del patrimonio storico-culturale dell’Azerbaigian nei territori occupati.
E’ terrificante anche solo immaginare l’orrore avvenuto nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 1992, quando le Forze armate dell’Armenia entrarono a Khojaly, piccola città nella regione del Nagorno-Karabakh, popolata completamente da azerbaigiani, causando la morte di 613 civili, donne, bambini, anziani, la cui unica colpa era di essere azerbaigiani.

Cinquantasei civili furono uccisi con particolare brutalità e crudeltà. Tutto ciò è documentato da numerose fonti indipendenti, testimoni di questa tragedia. Quello che accadde a Khojaly fu un genocidio contro il mio popolo.
Ogni anno ricordiamo questo evento e informiamo la comunità internazionale su quanto accadde in quella terribile notte di 26 anni fa, ma ancora molto dobbiamo parlarne perché i responsabili di questi crimini ricevano la condanna politica e giuridica meritata da parte della comunità internazionale; in caso contrario i crimini impuniti aprono la strada a nuovi crimini.  L’Azerbaigian svolge da anni la campagna internazionale “Giustizia per Khojaly!” per una maggior consapevolezza di questa tragedia a livello internazionale, inclusa l’Italia, dove il giorno dell’anniversario e nelle date vicine vengono organizzati incontri, presentazioni di libri e spettacoli per rendere omaggio alle vittime, ma anche perché gli eventi di Khojaly e altri crimini commessi dall’Armenia, non sono direzionati solo contro il popolo azerbaigiano, ma anche contro tutta l’umanità e purtroppo l’aggressione militare dell’Armenia contro l’Azerbaigian perdura ancora oggi. Per questo per noi è estremamente importante che se ne parli e che la comunità internazionale prenda una posizione ferma per il ripristino della giustizia, il che passa inevitabilmente per la fine dell’aggressione militare dell’Armenia e la condanna dei responsabili del genocidio di Khojaly e degli altri crimini commessi dall’esercito dell’Armenia durante l’occupazione dei nostri territori.

L’Azerbaigian tenta da numerosi anni di risolvere tale conflitto attraverso la diplomazia. Importanti sono anche i rapporti con l’Unione europea. Quali sostanziali novità ritroviamo in tali relazioni guardando al Nagorno-Karabakh?
Per noi è importante che l’Unione europea faccia sentire maggiormente la sua voce, insieme agli altri organismi internazionali, per il ripristino dell’integrità territoriale dell’Azerbaigian. A tal proposito nella dichiarazione congiunta, adottata alla fine dell’ultimo Vertice del Partenariato orientale dell’Unione Europea, il richiamo al sostegno all’integrità territoriale, l’indipendenza e la sovranità di tutti gli Stati del Partenariato orientale è di importanza fondamentale.

Questo documento fa inoltre riferimento alla Strategia globale per la politica estera e la sicurezza dell’Unione europea, in cui l’integrità territoriale degli Stati membri dell’Unione europea e dei suoi Stati limitrofi, è indicata all’interno dei confini internazionalmente riconosciuti. Inoltre, il 13 dicembre scorso il Parlamento europeo ha adottato la Risoluzione sulla relazione annuale sull’attuazione della politica estera e di sicurezza comune, dove viene affermato esplicitamente l’impegno dell’Europa a favore dell’indipendenza, della sovranità e dell’integrità territoriale di tutti i paesi del Partenariato orientale entro i loro confini riconosciuti a livello internazionale. Questa risoluzione richiama ad un approccio unificato per tutti gli stati che hanno sofferto di separatismi aggressivi e rivendicazioni territoriali dei vicini e per tutti i conflitti in Europa, un atteggiamento volto a sostenere l’integrità territoriale dei paesi, compresi quelli del Partenariato orientale all’interno dei loro confini internazionalmente riconosciuti.

Inoltre, pochi giorni fa in conferenza stampa al termine del Consiglio di cooperazione UE-Azerbaigian a Bruxelles l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, ha detto che l’Unione europea sostiene pienamente l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Azerbaigian.

Nello specifico quale può essere il ruolo dell’Italia, con cui l’Azerbaigian ha festeggiato un importante anniversario lo scorso anno e che è attualmente alla presidenza dell’OSCE?
Come l’Azerbaigian ha avuto modo di manifestare in altre occasioni dall’inizio di questo anno, nutriamo una notevole speranza nella presidenza italiana dell’OSCE. Questo perché l’Italia stessa ha dichiarato, con le parole del ministro degli Esteri, Angelino Alfano che tra le sue priorità come presidente c’è proprio anche la soluzione del conflitto del Nagorno Karabakh.

Inoltre, l’Italia ha un precedente storico di grande importanza, in quanto fu il primo presidente del Gruppo di Minsk dell’OSCE e da parte dell’allora sottosegretario degli Esteri italiano, Mario Raffaelli, fu preparato un calendario delle “Misure urgenti” per il ritiro delle truppe dell’Armenia dai territori occupati dell’Azerbaigian, che però purtroppo non fu mai attuato. Ci aspettiamo che la presidenza italiana dell’OSCE, contribuisca alla soluzione del conflitto attraverso il cambiamento dello status quo, che è inaccettabile, il quale passa innanzitutto dal ritiro delle forze armate dell’Armenia dai territori occupati.

L’inizio dell’estate scorsa è stato caratterizzato da una ripresa delle ostilità. Alcuni colpi di mortai lanciati dall’Esercito dell’Armenia hanno ucciso una donna anziana ed una bambina di due anni nel villaggio di Alkhanli, situato nel distretto di Fizuli dell’Azerbaigian. Sono stati molti gli attestati di solidarietà provenienti dalla politica e dalla diplomazia italiana. Che resoconto possiamo dare di tali attestati?
Gli attacchi sistematici, deliberati e mirati dell’Armenia alla popolazione civile azerbaigiana, inclusi donne, bambini e anziani, residenti nelle aree densamente popolate adiacenti alla linea di contatto, dimostra una volta ancora che l’Armenia non vuole abbandonare la sua politica di aggressione militare e non vuole che la pace giunga nella regione.

Il motivo principale della tensione e degli incidenti sulla linea di contatto è la presenza illegale delle Forze Armate dell’Armenia nei territori occupati dell’Azerbaigian. Per evitare che si verifichino perdite di vite di persone innocenti, così come per raggiungere passi avanti nella risoluzione del conflitto, è fondamentale innanzitutto che l’Armenia ritiri le sue forze armate dai nostri territori, come invocato ripetutamente anche da numerosi documenti degli organismi internazionali, incluso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che ha adottato ben 4 risoluzioni sulla questione, che rimangono tutte ignorate dall’Armenia.
Siamo grati al mondo politico italiano che in occasione dei fatti drammatici della scorsa estate ci ha dimostrato solidarietà. Ciò di cui soprattutto ringraziamo è l’aver evidenziato, nelle varie dichiarazioni, come ci sia una parte indifesa della popolazione, quella composta da bambini, che spesso rimane vittima dei conflitti. Molti bambini sono morti a Khojaly, e molti continuano a morire a causa dell’aggressione militare dell’Armenia.
Le scienze giuridiche e militari definiscono il problema del Nagorno Karabakh come “conflitto congelato”. Condivide tale approccio?
Il conflitto tra l’Armenia e l’Azerbaigian del Nagorno-Karabakh non è un conflitto congelato, e la prova di ciò sono i fatti dell’aprile 2016 e del luglio 2017 e i resoconti sulla continua violazione del cessate il fuoco da parte dell’Armenia che costantemente pubblichiamo. Questo conflitto può riaccendersi su larga scala in qualsiasi momento e causare gravi conseguenze per l’intera regione. Nonostante tutte le provocazioni da parte dell’Armenia, e nonostante l’Azerbaigian abbia i suoi territori occupati da molti anni e possieda la capacità militare per liberare le sue terre, siamo impegnati in una soluzione pacifica di questo conflitto, senza la cui risoluzione non si può garantire stabilità, pace duratura, sviluppo e collaborazione totale nella regione. Purtroppo non si osserva la stessa attitudine da parte dell’Armenia, il cui obiettivo è mantenere lo status quo e imporre il fait-accompli. E’ necessario che l’Armenia comprenda anche il danno al proprio stato causato dalla sua politica di aggressione militare, che ha portato ad un paese tagliato fuori da tutti i progetti regionali, provocando a se stesso povertà e spopolamento. L’Armenia dovrebbe interrompere i tentativi di prolungare artificialmente il processo dei negoziati, usando molteplici provocazioni e pretesti, e deve dimostrare una posizione costruttiva per negoziati più intensi, sostanziali e logici.

Sovranità nazionale, diplomazia transnazionale, diritto umanitario internazionale: l’Azerbaigian tenta di far comprendere cosa sta accadendo in Nagorno Karabakh. Quali sono le sue impressioni riguardo tale tragedia e il comportamento della comunità internazionale? Cosa aspetta l’Azerbaigian dalla comunità internazionale in rapporto al conflitto?
L’Armenia ignora le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sul conflitto, nonché le dichiarazioni per cambiare lo status-quo dei tre membri permanenti del Consiglio stesso – Russia, Stati Uniti e Francia, che sono anche copresidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE. In alcuni casi, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU vengono eseguite entro pochi giorni, anche poche ore. Per quanto riguarda noi, sono passati 25 anni e non ci sono ancora progressi.

All’Armenia non vengono imposte sanzioni per l’aggressione, l’occupazione e i crimini di guerra commessi contro la popolazione pacifica azerbaigiana. A volte, entrambe le parti del conflitto sono chiamate alla pace, sono invitate a rispettare il cessate il fuoco e si mettono sullo stesso piano la vittima – Azerbaigian e l’aggressore – Armenia. Tutti questi non sono altro che doppi standard. I nomi del paese che è sottoposto all’aggressione e di quello che ha commesso l’aggressione dovrebbero essere chiaramente indicati. Dovrebbero esserci approcci diversi a tali paesi. Altrimenti, non si può parlare di una soluzione equa e giusta di qualsiasi conflitto. La pressione sull’aggressore – Armenia a livello internazionale, la sua condanna e le sanzioni imposte a questo paese sono di importanza fondamentale. Solo così, si può garantire giustizia. L’Azerbaigian non si riconcilierà mai con il fatto dell’occupazione, non permetterà la creazione di un secondo stato armeno nel suo territorio e prenderà tutte le misure necessarie per ripristinare la sua integrità territoriale e garantire la sicurezza della sua popolazione.

*Fondatore dell’Istituto di Ricerca di Economia e Politica Internazionale (IREPI)

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