NATO: Stoltenberg incontra a Berlino il cancelliere Scholz. La potenza tedesca sta progressivamente mutando pelle

Di Fabrizio Scarinci

BERLINO. Il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg ha incontrato l’altro ieri, a Berlino, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, con cui ha avuto modo di affrontare numerose tematiche di carattere strategico e internazionale.

Il cancelliere Olaf Scholz accoglie il Segretario Generale Stoltenberg

Tra i numerosi argomenti trattati spiccano, ovviamente, quelli connessi al conflitto ucraino (che rappresenta, senz’altro, la sfida più grande mai affrontata dall’Alleanza Atlantica nel corso degli ultimi decenni) e quelli inerenti l’aumento delle spese militari da parte della Germania e degli altri membri europei della NATO.

A margine dell’incontro, il Segretario Generale ha speso per il suo interlocutore diverse parole di elogio, ringraziandolo per il considerevole sostegno fornito a Kiev (a cui, tra la altre cose, Berlino avrebbe inviato alcuni carri Leopard 2A6, decine di IFV di tipo Marder e almeno un paio di efficacissimi sistemi antiaerei di tipo IRIS-T SLM), per il contributo offerto al fine di rafforzare le difese dell’Alleanza in Europa orientale (in particolar modo in Paesi come Slovacchia e Lituania) e per la decisione di portare le spese per la Difesa al 2% del Prodotto interno lordo entro la fine del prossimo anno.

Soffermandosi, in particolare, su quest’ultimo aspetto, sia Scholz che Stoltenberg hanno specificato come il raggiungimento di adeguati livelli di spesa militare costituisca un importante punto di svolta nel migliorare la capacità dell’Alleanza di salvaguardare la sicurezza del continente europeo, non solo nell’ambito dei cosiddetti “domini tradizionali” (come terra, mare o aria), ma anche con riferimento a quelli emersi nel corso degli ultimi decenni, come, ad esempio, quello cibernetico, in cui Berlino avrebbe, potenzialmente, tutte le carte in regola per giocare un ruolo di leadership.

Un momento della conferenza stampa congiunta

In generale, sia le parole del Stoltenberg che quelle di Scholz sembrerebbero confermare come, da qualche tempo a questa parte, la strategia internazionale della Germania stia subendo una vera e propria “rivoluzione copernicana”.

Negli anni di Angela Merkel, infatti, la Repubblica Federale si trovava nella particolarissima condizione di rappresentare, da un lato, la prima potenza economica e demografica dell’UE (e, dunque, almeno sul piano teorico, anche il più ovvio candidato per il conseguimento di una qualche sorta di egemonia sull’Organizzazione stessa, che risultava, già in buona parte, regolamentata allo scopo di favorire il suo sistema produttivo) e, dall’altro, l’epicentro di una certa mentalità di tipo marcatamente “post-storico” caratterizzata dall’idea secondo cui i conflitti tra potenze fossero un qualcosa di ormai superato.

Col tempo, l’approccio alle relazioni internazionali derivante da questo tipo di mentalità avrebbe portato il Paese ad operare non solo un’eccessiva riduzione delle proprie spese militari, ma anche un progressivo avvicinamento a Russia e Cina per ragioni di carattere energetico e commerciale.

Ovviamente, tutto questo non avrebbe certo favorito i suoi rapporti con gli USA, che, dal loro punto di vista, avrebbero iniziato a guardare Berlino come un alleato sempre meno “affidabile”, incline (almeno per certi aspetti) a “flirtare” con i maggiori competitor dell’Occidente e, probabilmente, anche intento a costruire una qualche sorta di “schema geopolitico europeo” parzialmente alternativo allo storico legame transatlantico; dato che, malgrado la riluttanza mostrata dai tedeschi nei confronti delle spese militari, l’enorme influenza da loro acquisita con riferimento al sistema economico dell’euro-zona avrebbe comunque potuto allargarsi, magari più in là nel tempo, ad una dimensione di carattere più marcatamente strategico.

L’ex cancelliere tedesco Angela Merkel

In ogni caso, però, i principali pilastri della strategia di Berlino sarebbero rovinosamente crollati a seguito della pandemia e dell’attacco russo nei confronti dell’Ucraina, che avrebbero comportato sia il temporaneo (e, chissà, forse anche definitivo) accantonamento delle regole alla base del “sistema-euro” per come era stato concepito negli anni 90, sia la rinuncia alle forniture di gas a bassissimo costo provenienti dalla Russia; due ingredienti a dir poco essenziali per i successi economici ottenuti dalla Germania nel corso dell’ultimo ventennio.

Com’è stato possibile osservare, tale situazione, unita al rischio di un conflitto aperto tra Occidente e Federazione Russa, avrebbe presto indotto l’esecutivo di Olaf Scholz (insediatosi meno di tre mesi prima dell’inizio dell’offensiva di Mosca in Ucraina) a ripensare approfonditamente il “modo di stare al mondo” del suo Paese, che avrebbe definitivamente abbandonato le sue precedenti velleità da “grande Svizzera” posta al centro di un blocco economico utile a favorire le proprie esportazioni e abbracciato una strategia incentrata su capacità militari molto più robuste e, almeno a giudicare da alcune delle sue ultime scelte in materia di procurement (come quella di acquistare gli F-35 e quella di guidare la creazione di un sistema di difesa missilistica continentale incentrato sugli intercettori Arrow-3), su un deciso riavvicinamento all’alleato statunitense, nei confronti del quale Berlino sembrerebbe, ora, volersi riconfermare come uno dei maggiori partner di riferimento.

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