Conferenza “Esercito Italiano: le sfide per il futuro”, la Forza Armata analizza le sue prospettive tra il ritorno della politica di potenza e le nuove forme di collaborazione in ambito UE

Di Fabrizio Scarinci

Roma (nostro servizio). Il recente attacco russo nei confronti dell’Ucraina costituisce sicuramente un evento di grande portata storica; foriero di grandi cambiamenti e senz’altro destinato ad avere un impatto durevole sull’intera politica del continente europeo.

Tra i suoi vari effetti, figura, infatti, proprio quello di aver inferto il colpo definitivo ad alcune delle più diffuse (nonché errate) convinzioni riguardo al Sistema Internazionale venutesi a creare nell’immediato dopo-Guerra fredda, tra cui l’idea (a dire il vero quasi solo europea, dato che in altre regioni del mondo la competizione tra potenze era già tornata in auge da diverso tempo) secondo cui i conflitti tra Stati fossero ormai una rarità e che, da quel momento in poi, i vari apparati militari, e in particolar modo i loro strumenti terrestri, sarebbero stati impiegati soprattutto nell’ambito di missioni di stabilizzazione o al fine di contrastare fenomeni di natura terroristica.

Bombardamento russo colpisce l’antenna della televisione ucraina durante le prime settimane di guerra

Dopo il brusco risveglio dello scorso 24 febbraio, con cui molti Paesi hanno finalmente compreso la necessità di incrementare le proprie spese militari e di tornare a possedere forze maggiormente adatte all’impiego nell’ambito di conflitti convenzionali, anche in Italia si è cominciato a riflettere più approfonditamente su come mettere l’apparato difensivo nazionale in condizione di affrontare al meglio i nuovi scenari che si profilano all’orizzonte.

Tra le varie iniziative in tal senso, particolare rilievo ha assunto, il 3 maggio scorso, la tavola rotonda “Esercito Italiano: le sfide per il futuro”, dove si è avuto modo di approfondire le tematiche appena descritte in relazione ai nuovi requisiti del nostro strumento terrestre, che dopo i profondi mutamenti degli anni 90 e 2000, tesi, per lo più, a conseguire migliori capacità nell’ambito della cosiddetta “guerra asimmetrica”, si trova anch’esso a dover fare “marcia indietro” al fine di affrontare questo nuovo e più pericoloso contesto, in cui l’eventualità di trovarsi a combattere contro le forze di un altro Stato (o magari di un’altra potenza) non può essere certo esclusa a priori.

Un’immagine della conferenza, da notare la scritta “Ritorno al Futuro”, che rende l’idea di come l’Esercito si trovi oggi ad affrontare un percorso per certi versi opposto rispetto a quello affrontato nei primi anni 90

Svoltosi a Roma, presso la Biblioteca Militare dell’Esercito, l’evento è stato moderato dal direttore di “Formiche”, nonché della testata specializzata in difesa e aerospazio “Airpress”, Flavia Giacobbe. Tra gli intervenuti erano, invece, presenti il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Pietro Serino, il presidente del Centro Studi Esercito Salvatore Farina, l’AD di Leonardo Alessandro Profumo, il Managing Director di MBDA Italia Lorenzo Mariani, il presidente del CESI Andrea Margelletti, il direttore dello European Council on Foreign Relations Arturo Varvelli e il Responsabile del Programma “Difesa” dello IAI Alessandro Marrone, che hanno permesso di far luce sull’argomento sia dal punto di vista dell’analisi geopolitica, sia per quanto concerne i suoi aspetti di natura tecnico-industriale.

Il primo intervento è spettato, ovviamente, al “padrone di casa” Pietro Serino, che, dopo aver ricordato come le guerre si combattano da sempre applicando gli stessi “antichi” principi con tecnologie sempre più innovative, si è concentrato sull’individuazione delle sfere di capacità rispetto alle quali l’Esercito dovrebbe porre maggiore attenzione a partire dal prossimo futuro, menzionando, in modo particolare, quella informativa e decisionale, da rendere sempre più rapida e capillare, quella inerente la protezione delle forze e quella della logistica, sempre più onerosa ma, d’altro canto, sempre più indispensabile.

Allo scopo di conseguire un soddisfacente livello di capacità in queste ed altre cruciali aree “tecnico-operative”, il Generale ritiene di fondamentale importanza lo sviluppo di sistemi quali satelliti, droni, missili, mezzi robotici, reti informative ad alta velocità e strumenti utili all’automazione dei processi, da portare avanti ricercando il giusto equilibrio tra qualità e quantità (che negli ultimi anni sarebbe stato accantonato in favore di un approccio maggiormente basato sul concetto di “qualità vs quantità”) e ricordando come, al fine di superare ogni sfida, servano sempre idee e risorse, che in questo caso potranno essere ottenute soltanto attraverso una sempre più stretta collaborazione tra Esercito e Industria.

Dello stesso parere il presidente del Centro Studi Esercito Salvatore Farina, che durante il suo intervento ha sottolineato l’importanza di restare al passo con i tempi in ambito tecnologico e ha ricordato l’importanza di proseguire in modo spedito con l’acquisizione di nuovi sistemi e piattaforme, menzionando, nello specifico, il nuovo sistema da combattimento individuale “Soldato Sicuro”, le ultime versioni del Veicolo Tattico Leggero Multiruolo “Lince” e le nuove Blindo corazzate “Centauro 2”.

Una Blindo Centauro II in esercitazione

Farina ha, però, anche sollevato due importanti criticità che nel prossimo futuro, specie in considerazione del tipo di scenario che si starebbe profilando, potrebbero avere un impatto particolarmente negativo sulle capacità operative dell’Esercito.

In particolare, esse sarebbero costituite dal progressivo invecchiamento del personale, a cui egli propone di porre rimedio mediante un reclutamento straordinario di circa 10.000 uomini, e dalla relativa arretratezza dei mezzi pesanti, con particolare riferimento ai carri “Ariete” e ai veicoli corazzati “Dardo”, la cui sostituzione dovrebbe spingere l’Industria e la Forza Armata a ricercare un maggiore livello di collaborazione con gli altri Paesi europei.

Un carro armato Ariete in movimento

Quest’ultimo aspetto è stato, poi, trattato in modo più dettagliato nel corso degli interventi successivi, tra cui quello dell’AD di Leonardo Alessandro Profumo, che ha sottolineato come favorire l’ingresso del Paese in un sistema di collaborazione più ampio e strutturato permetterebbe al comparto Difesa di specializzarsi in alcuni settori e di rafforzarsi rispetto alla loro produzione inserendoli nell’ambito di programmi di più ampio respiro, e quello del Managing Director di MBDA Lorenzo Mariani, che ha rimarcato l’importanza dell’innovazione tecnologica per la crescita del sistema-Paese e ha sottolineato come la difesa di uno Stato (o di un gruppo di Stati) da ogni possibile minaccia richieda non solo capacità e organizzazione, ma anche il necessario ammontare di investimenti, senza i quali si corre il rischio di dilatare eccessivamente i tempi di sviluppo dei vari sistemi e di non schierarli in tempo per lo svolgimento dei compiti a cui sono stati assegnati.

Mariani si è quindi augurato che i principali Stati dell’UE (che normalmente fanno la differenza sui progetti più importanti) possano stabilire forme di collaborazione sempre più proficue e generare in diversi settori realtà innovative di tipo simile alla stessa MBDA, che lui ha descritto come un “un esempio di lungimirante visione industriale e politica che ha visto nella cooperazione la via per incrementare le capacità di difesa delle nazioni e renderle tecnologicamente competitive”.

Un veicolo “Lince” dell’Esercito in azione

Sulla creazione di campioni industriali europei si è soffermato anche il direttore Arturo Varvelli, per il quale il conseguimento dell’autonomia strategica (non solo in ambito militare) da parte dell’UE dovrebbe rappresentare un obiettivo di primaria importanza per tutti i suoi membri, tanto più in considerazione dell’importantissimo ruolo giocato dalla tecnologia e dalle capacità produttive in possesso dei diversi Paesi nella definizione dei rapporti di forza internazionali e del fatto che, dopo un lungo periodo caratterizzato dalla progressiva internazionalizzazione delle filiere produttive, si è finalmente compresa, più o meno in tutto l’Occidente, l’importanza di non dipendere a livello commerciale da Stati che potrebbero configurarsi come potenziali competitor.

Il tema di una maggiore autonomia strategica europea risulta, inoltre, ampiamente trattato anche in seno alla “Bussola Strategica” (o “Strategic Compass”) varata nel marzo scorso da Bruxelles, che, come spiegato da Alessandro Marrone, si propone di rafforzare l’Unione dotandola di migliori strumenti al fine di proteggere i propri interessi.

A differenza di quanto alcuni potrebbero immaginare, l’approccio seguito non è quello di creare Forze Armate comuni, quanto piuttosto quello di perseguire un maggiore coordinamento industriale e operativo tra i diversi Paesi, che, facendo affidamento sulle nuove strutture che verranno create (oltre che, naturalmente, sull’Alleanza Atlantica), saranno ancor più in grado di provvedere alla protezione dei propri interessi e delle proprie rispettive sfere di sovranità.

Andando più nel dettaglio, tra i punti di maggior interesse presenti nel documento vi sarebbero l’istituzione di un Quartier Generale europeo (da realizzarsi entro il 2025), il perseguimento di una maggiore interoperabilità tra le forze dei vari Paesi UE, maggiori finanziamenti comunitari alle missioni militari a guida europea (in modo da superare l’attuale meccanismo per via del quale i costi ricadono essenzialmente sugli Stati che agiscono) e la creazione di una “Forza di Reazione Rapida” congiunta di circa 5.000 uomini, che, quantunque appaia decisamente poco numerosa rispetto alle previsioni dei decenni scorsi dovrebbe comunque essere in grado di dare il suo contributo anche nell’ambito di scenari ad alta intensità.

Particolarmente interessante è risultato, poi, l’intervento di Andrea Margelletti, che dopo aver ricordato come due decenni dedicati quasi esclusivamente al “counter-insurgency” abbiano avuto effetti a dir poco deleteri sulle capacità convenzionali delle nostre forze terrestri, ha anche auspicato un deciso intervento da parte della politica affinché si ponga rimedio a tale situazione.

Per il presidente del CESI, infatti, il possesso di Forze Armate (e quindi anche di forze terrestri) capaci di intervenire nell’ambito di grandi conflitti armati ad alta intensità rappresenta un requisito assolutamente irrinunciabile, specie in considerazione del difficile contesto geopolitico che si starebbe delineando in molte aree di nostro interesse, dove vi è la concreta possibilità che scoppino crisi che potremmo non essere in grado di gestire (o, per lo meno, non nell’immediato).

Militari italiani in Iraq. Le varie missioni svolte nel Paese mesopotamico hanno richiesto moltissimi sforzi nel campo del “counter-insurgency”

Al termine degli interventi, a concludere la tavola rotonda è stato nuovamente il Generale Serino, che, sulla base di quanto detto da alcuni degli ospiti, ha avuto modo di fare qualche considerazione in più sulla cooperazione a livello europeo, ravvisando, da un lato, problematiche di tipo politico, inerenti soprattutto l’effettiva volontà di utilizzare le forze disponibili nell’ambito di operazioni militari, e, dall’altro, la grave (e difficilmente risolvibile) criticità riguardante la mancanza di requisiti comuni, che potrebbe seriamente minare la cooperazione tra i diversi Paesi per ciò che concerne lo sviluppo congiunto di sistemi e piattaforme (come rischia, tra l’altro, di accadere anche con il nuovo carro franco-tedesco, a cui il nostro Esercito sarebbe interessato ma di cui risulterebbero poco chiari i tempi di sviluppo).

Di conseguenza, benché egli si auguri una cooperazione sempre più stretta tra militari e aziende della Difesa di tutti i Paesi dell’UE, per il momento non ha potuto far altro che constatare come la strada da fare al fine di raggiungere livelli soddisfacenti in tal senso sia ancora molto lunga.

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