Taiwan: l’iniziativa di Pelosi e il lungo corso delle relazioni sino-americane nell’Indopacifico

Di Margherita Lecis

TAIPEI. Appare sempre più rapida l’evoluzione del quadro politico-militare nel Mar Cinese Meridionale. Ieri Nancy Pelosi è atterrata a Taipei, intervenendo pubblicamente sul “sostegno alla democrazia” dell’isola e determinando un’immediata reazione da parte della Repubblica Popolare.

Sulla prima pagina del Global Times si esprime oggi senza mezzi termini l’intenzione di “accelerare il processo di riunificazione” proprio in forza del riassetto militare seguito alla visita della terza carica dello Stato americano.

La Speaker delle Camera dei rappresentati statunitense Nancy Pelosi

Se si volesse cercare di inquadrare gli eventi odierni attraverso una lettura di più lungo corso, occorrerebbe osservare come gli Stati Uniti siano andati progressivamente modificando la propria linea geopolitica rispetto alla Repubblica Popolare.

Nel corso degli ultimi anni, infatti, la politica statunitense verso la Cina ha subìto una svolta significative (data fondamentalmente dal Pivot to Asia di Obama), di cui le iniziative di contenimento QUAD (quadrilatero della sicurezza che coinvolge Australia, India e Giappone) e AUKUS (patto con Regno Unito e Australia) sono state la logica continuazione economica e strategica.

Nel marzo di quest’anno il Presidente Biden aveva, poi, alluso a una possibile azione militare in risposta ad eventuali alterazioni dell’equilibrio da parte cinese.

In particolare, secondo Chris Coons, senatore del Delaware vicino all’entourage presidenziale, l’amministrazione Biden si sarebbe convinta del fatto che un intervento cinese su Taiwan possa avvenire nel corso del prossimo anno e mezzo, se non addirittura prima della fine del mandato di Xi Jinping e del prossimo, fondamentale, congresso del Partito Comunista Cinese in agenda nel prossimo autunno.

Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden

Vista da questa prospettiva, l’iniziativa “unilaterale” di Pelosi appare forse meno come una fuga in avanti e più come lo sviluppo coerente di una progressiva intensificazione della tensione che devia dalla tradizionale “ambiguità strategica” osservata dagli USA su Taiwan.

Quest’ultima linea politica, sancita dal Taiwan Relations Act del 1979 e dalle cosiddette Six Assurances (gli Stati Uniti si opponevano a “ogni modifica unilaterale dello status quo”) è rimasta a lungo la posizione ufficiale di Washington.

Nelle ultime settimane il Ministero della Difesa di Taiwan ha più volte segnalato un aumento del traffico militare marittimo nello Stretto.

Frequenti sono state anche le dichiarazioni di funzionari cinesi relative al fatto che le acque fra l’isola e il continente “non possono essere considerate acque internazionali”.

A giugno, inoltre, un caccia cinese è stato coinvolto in operazioni definite “non sicure e non professionali” nei confronti di un C-130 americano.

Tre giorni fa la USS Ronald Reagan, portaerei a propulsione nucleare, ha lasciato Singapore per entrare nel Mar Cinese Meridionale. Quest’ultima notizia fornisce un elemento importante per stimare comparativamente la tensione nell’area, dato che l’ultima volta che
delle portaerei americane si avvicinarono allo Stretto con finalità diverse dal transito era l’estate-autunno del 1995 e si trattò del più grande dispiegamento di forze nell’indopacifico dalla guerra del Vietnam.

Anche in quel caso vi fu, come oggi, una mobilitazione di terra preventiva nel Fujian, la regione cinese antistante l’isola. La crisi è ricordata come Terza Crisi dello Stretto: Clinton, a seguito di un incidente diplomatico che coinvolse l’allora Presidente della Repubblica di Cina Lee, inviò quattro portaerei con relativi gruppi da battaglia.

Le operazioni, seguite ad un lancio cinese di missili, consistettero in una risposta missilistica americana e in numerose esercitazioni navali ed anfibie a Taiwan e sul continente, da ambo le parti.

Mappa dello Stretto di Taiwan

Come noto, Taiwan è storicamente al centro degli interessi strategici, economici e politici della Repubblica Popolare Cinese, che considera l’isola come parte naturale del proprio territorio.

Fondamentale testa di ponte per la proiezione cinese nel Pacifico, l’isola sarebbe il perno di una cintura che passa dall’isola Hainan fino allo Stretto di Malacca, da cui transita il 25% del commercio marittimo mondiale (nonché l’80% dell’import petrolifero cinese). Essa è inoltre un
importante punto di riferimento per il commercio e la produzione di semiconduttori, essenziali per le nuove tecnologie.

Non vanno, però, trascurate neppure gli elementi di natura storica e culturale, dato che Taiwan rappresenta, sin dai tempi dell’esilio del Kuomintang nel 1949, il fulcro ideologico dell’opposizione all’idea di Stato cinese propugnata dal Partito Comunista.

Li Denghui, ideologo del partito di Chang Kai-Shek, sosteneva ad esempio la necessità della “sparizione della Repubblica Popolare Cinese”.

Se è vero che negli ultimi anni questa componente di forte attrito politico è stata in parte smorzata, è comunque certo che per la Cina il controllo dell’isola rappresenta, secondo le parole di Wenmu Zhang, politologo del Centro di Studi Strategici dell’Università di Pechino, “il cuore dell’interesse nazionale cinese”.

Una completa riannessione comporterebbe un prestigio inscalfibile e duraturo per Xi e per il Partito Comunista, che l’ha del resto prevista programmaticamente per il 2050.

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