Jihad Islamica e Hamas, chi comanda a Gaza?

Di Rebecca Mieli

Gerusalemme. Ci sono due organizzazioni terroristiche principali che si contendono il primato a Gaza: Jihad Islamica e Hamas.

Sul piano militare, la prima dispone di un maggiore bacino di manovra, ampie capacità missilistiche, e nessuna responsabilità politica sulle spalle.

Hamas detiene il potere politico e amministrativo, possiede un braccio armato preparato e attrazzato.

La differenza tra i due si manifesta in sostanza dalla natura degli obiettivi e dagli interessi, nonché dal peso dei rapporti con l’Iran:

La Jihad islamica palestinese non è altroche un proxy degli Ayatollah, quindi agisce esclusivamente negli interessi dei leader sciiti che ne finanziano le azioni; Hamas è un alleato dell’Iran con degli interessi propri e indipendenti connessi all decennale ruolo di guida amministrativa, sociale e politica nell’enclave palestinese.

Hamas, in un modo o nell’altro, deve occuparsi della popolazione, e fronteggiare il costo
politico e diplomatico delle proprie scelte in ambito bellico, mentre l’Islamic Jihad è un gruppo di guerriglieri irresponsabili e pronti a tutto pur di perpetrare la battaglia rivoluzionaria.

Attacchi sulla Striscia di Gaza

Una settimana di scontri

La Jihad Islamica palestinese, che ha attaccato Israele con circa 500 missili in risposta all’uccisione mirata del vice leader dell’organizzazione Baha Abu al-Hata, possiede un quartier generale a
Gaza e uno a Damasco, dove risiede la leadership.

L’organizzazione è considerata il braccio armato “iraniano” nei territori palestinesi, di conseguenza agisce come proxy di Teheran andando a massimizzare gli interessi degli Ayatollah nell’area di Gaza.

Le tattiche della Jihad Islamica Palestinese si concentrano non già sul negoziare (anche con attacchi violenti e strumenti deterrenti), un cambiamento nelle condizioni della popolazione, bensì sul pubblicizzare il più possibile gli attacchi missilistici perpetrati contro Israele al fine di terrorizzare la cittadinanza Israeliana.

In sostanza, se per Hamas (che detiene il potere amministrativo e gestisce burocraticamente e politicamente Gaza), le escalation sono utilizzate per arrivare a negoziati economici che gli permettano di avanzare di volta in volta richieste e concessioni, la Jihad Islamica segue solo ed esclusivamente direttive belliche di Teheran.

Per questo motivo gli attacchi dell’IJ si differenziano da quelli di Hamas perché non debbono massimizzare alcun profitto, se non già la sensazione di terrore.

La Jihad Islamica non paga il costo politico e diplomatico (pensiamo solo al negoziato economico con il Qatar o i rapporti con l’Egitto) che pagherebbe invece Hamas nel’attaccare Israele, dunque agisce con meno filtri e incertezze.

Non è un caso neanche che l’Islamic Jihad abbia deciso di mandare avanti l’escalation negli ultimi giorni in cui il leader del Partito Biancoblu, Gantz aveva l’incarico di formare il governo.

Qualche giorno fa il mandato è scaduto, e probabilmente il Paese tornerà a nuove elezioni.

In quel momento, tuttavia, la situazione politica interna non avrebbe permesso un intervento armato massiccio, ne avrebbe potuto garantire una stabilità politica tale da poter prendere una scelta più radicale e condivisa all’interno delle sedi politiche.

La sede dell’ONU a Gaza

Scenari

Nonostante si sia raggiunta una tregua, i nodi tra le due organizzazioni continueranno a uscire fuori finchè Hamas non prenderà una posizione più chiara e netta sul suo ruolo di leader di Gaza.

Hamas deve decidere se continuare con l’appoggio di Egitto (politico) e Qatar (economico) a negoziare con Israele, o se seguire la via bellica dell’Islamic Jihad.

Nel caso di Abu Al-Hata, Israele ha chiesto in diverse circostanze ad Hamas di intervenire con un arresto o un fermo.

Al-Hata è sempre stato considerato
un “piantagrane”, tanto che sembra che il mancato intervento di Hamas e dei suoi leader contro di lui derivasse dall’esistenza di una sorta di timore reverenziale nei suoi confronti.

Da quello che emerge dalla stampa locale, sembra che Al-Hata avesse una posizione cosi estrema nei confronti di Israele da essere incapace di accettare i fondi del Qatar (dunque in contrasto con gli interessi di Hamas), fino al punto di agire in alcune circostanze senza il “via libera” del quartier generale a Damasco.

Negli ultimi mesi la sua figura si era concretizzata come il nuovo caposaldo della resistenza Palestinese, laddove Hamas ha assunto sempre più una politica di ricerca della pace e della stabilità.

Al Hata, per giunta, è la mente che si nasconde dietro oltre il 90 % del lancio di missili contro Israele nell’ultimo anno, nonché della tattica ampiamente utilizzata nel 2018 del Piroterrorismo.

Ucciderlo ha lasciato la Jihad islamica indebolita militarmente, rafforzando inevitabilmente la posizione di Hamas.

Senza dubbio, insomma, l’uccisione di Al-Hata risponde a interessi comuni tra Israele e l’organizzazione che da decenni ormai governa a Gaza.

L’establishment di Israele ritiene di aver considerevolmente migliorato le possibilità di raggiungere una tregua con Hamas, laddove anche l’Egitto aveva fallito proprio a causa dell’irremovibile posizione dell’Islamic Jihad e di Al Hata.

Il gruppo probabilmente avrà bisogno di tempo per riprendersi, e nel frattempo si presenta ad Hamas l’opportunutà unica di riprendersi il Primato bellico nell’enclave e di negoziare nuovamente un dialogo costruttivo con Israele.

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Autore