Terrorismo: l’uccisione di Al-Zawahiri va inquadrata in un contesto strategico

Di Vincenzo Santo*

KABUL. Le dinamiche che accompagnano lo sviluppo delle strategie, frutto di analisi, per chi le sa fare, non seguono la logica del giorno.

Hanno tempi più importanti. Seguono delle logiche ben precise.

L’uccisione di Al-Zawahiri, come episodio, merita la citazione nella cronaca, naturalmente, ma va inquadrato in un contesto strategico che, pur nella sua tragicità, è molto semplice.

Ayman al-Zawahiri ucciso dagli  Stati Uniti

Zawahiri, 71 anni, era da tempo nella “hit list” americana in quanto legato ai vari complotti terroristici contro le forze americane in tutto il mondo. E ovviamente a quel terribile 11 settembre.

Era in Pakistan con la protezione dell’ISI, l’intelligence pachistana, sino a poche settimane fa.

Il Pakistan non lo voleva più. Quindi posto sotto la protezione di Sirajuddin Haqquani, la cui organizzazione riceve il sostegno dell’ISI.

Sirajuddin Haqqani, ministro dell’Interno afgano

Zawahari e la sua famiglia vivevano in una casa isolata di proprietà di un aiutante di Haqqani a Kabul.

Cosa poteva esserci di meglio, dal momento che Haqqani è l’attuale ministro dell’Interno afgano?

I problemi finanziari del Pakistan sono tanti e il Paese è stato obbligato ad accettare condizioni molto dure del FMI (Fondo Monetario Internazionale) e del Financial Action Task Force (FATF), prima che fosse raggiunto un accordo per il finanziamento del salvataggio.

Un intervento urgente che ha costretto Islamabad a chiedere l’aiuto degli USA per accelerare il processo. È chiaro, credo, quale possa essere stata la contropartita di Washington.

La logica che sottende questa uccisione sta in ciò che ebbe a dire Biden per motivare l’uscita americana dall’Afghanistan.

È passato ormai un anno da allora. Tutti, in quei giorni parlarono di vergogna, di ritiro sconsiderato. Persino di sconfitta americana. Paragonata al Vietnam.

Un’immagine della guerra del Vietnam

Biden, che anche da quando indossava la maglia della riserva di Obama sosteneva il ritiro, molto semplicemente affermò che gli Stati Uniti non avevano bisogno di rimanere in Afghanistan per combattere il terrorismo.

La Global War on Terrorism, la creatura “dell’inconsapevole” Bush junior, che problemi aveva creato negli americani per la sua “mancanza di personificazione” e che aveva quindi portato a trovare un’altra avventura in Iraq, poteva quindi continuare in modo più economico.

Fu un reset, infatti, questo è vero. Ma dimostra, come ho più volte scritto sugli americani, il “pelo sullo stomaco” che la capacità e la volontà di prodursi in Grand Strategy, e non nei giochetti del giorno prima, come noi europei siamo abituati a fare, richiedono.

Così come superficiale fu l’accostamento con il Vietnam, non comprendendo che anche la fine di quella guerra fu caratterizzata da tanto pelo sullo stomaco e, soprattutto, dal fatto che finalmente, grazie a Kissinger, il fronte comunista era stato spezzato.

Quindi, per farla semplice, e anche per giocare un po’ con le parole, gli americani sono usciti dall’Afghanistan ma non ne sono andati via.

Un MQ-9 Reaper AS, il drone che sarebbe stato impiegato nell’attacco, è probabilmente dalla CIA.

Un MQ-9 Reaper AS in volo

E’ lo stesso utilizzato per uccidere Soleimani nel 2019.

Uno strumento letale che da qualche parte nel raggio, io credo, di 2 mila o poco più chilometri, deve pur essere decollato, ammettendo che sia comunque avvicinato abbastanza per inquadrare il bersaglio anche solo a 3 chilometri di distanza.

Il Maggiore Generale Soleimani ucciso da un drone americano nel 2019

Dicono che la sua camera di bordo sia in grado di leggere la targa di un’auto da poco più di 3 chilometri, infatti.

Ora, se la velocità di crociera è di circa 280 chilometri orari e, a pieno carico, come credo fosse, l’autonomia è di 14 ore, il raggio di azione deve essere sui 2 mila chilometri.

E questa distanza ci porta un po’ ovunque, dal Pakistan al Golfo, escludendo, secondo me India e Turchia.

Questa, tuttavia un po’ più in là dei 2 mila chilometri. Ma non escludo una qualche base, anche solo temporanea in una delle Repubbliche centroasiatiche.

Un’eventuale base nel Sahara mi parrebbe troppo lontana. Mie considerazioni con qualche numero per sottolineare quel “ne sono usciti ma non ne sono andati via”.

Cioè, gli americani stanno ancora lì intorno. E, del resto, per arrivare a colpire a Kabul e quel pò pò di bersaglio una bella dote di intelligence da qualche parte deve essere arrivata.

Che poi abbiano o no usato un missile R9X, per limitare i danni collaterali, in quanto “non esplode” ma presenta sei lame retrattili che si dispiegano al momento dell’impatto, quindi uccide per energia cinetica, e che il foro causato dall’impatto sulla parete dell’appartamento occupato dal “medico egiziano” lo confermerebbe, lascio ad altri il divertimento di destreggiarsi su questo aspetto.

La strategia americana in un mondo che è cambiato, multipolare, quindi peggio del bipolare di un bel tempo andato, è rivolta alla Cina. Su questo io non ho alcun dubbio.

L’uscita dall’Afghanistan ha questo punto come principale indiziato concettuale. Tuttavia, se questo attacco possa essere legato in qualche modo alla vicenda della visita della speaker della Camera, Nancy Pelosi, a Taiwan, e alle varie manovre minacciose di Pechino al riguardo, come immagino qualcuno starà pensando, è tutto da vedere.

Nancy Pelosi, speaker della Camera dei Rappresentanti USA

Certo, si tratta di una manifestazione di forza e di capacità chirurgica, ma non credo che i cinesi possano spaventarsi per questo. Sono capacità ben note e collaudate. Ma tutto può essere.

La Pelosi ieri è atterrata a Taiwan e Pechino è infuriata e ha minacciato di far pagare caro questo affronto. Ma non se la prenderanno, credo, con gli americani. Forse aspettavano solo una buona scusa per fare qualcosa.

E l’aggressività delle forze aeronavali di Pechino nelle acque e nello spazio aereo di Taipei in queste ore lo dimostra.

Forse, mi chiedo, sarebbe ora da chiedersi cosa farebbero gli USA se un giorno scoprissimo che Pechino ha occupato una, alcune o tutte le isole che fanno parte dell’arcipelago della Repubblica di Cina, Taiwan appunto: isole Matsu, Quemoy, Pescadores e Lanyu?

Domattina o in un altro momento, loro, i cinesi, hanno una diversa cultura del tempo.

*Generale di Corpo d’Armata Esercito (ris)

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