Storia: il Generale Prizzi e la memoria di Macerata. Perché i militari vengono sempre per secondi

di Marco Petrelli

MACERATA (nostro servizio particolare). I lettori avranno appreso della lettera inviata dal Generale Prizzi al primo cittadino di Macerata con la quale si ricorda il contributo dei Paracadutisti della “Nembo” alla liberazione della città, evidentemente sconosciuto ad amministrazione e cittadini.

Un po’ più a sud di Macerata, sul monumento al Paracadutista d’Italia di Viterbo sono riportate in chiaro, fra le altre battaglie della Seconda Guerra Mondiale, Filottrano ed Anzio, combattute nel 1944 e che coinvolsero le due “Nembo”: quella del Regno del Sud agli ordini del comandante Morigi e quella della RSI agli ordini del comandante Rizzati.

Morigi guidò il 184° Paracadutisti “Nembo” del Regio Esercito (Regno del Sud) contro le Forze germaniche a Tolentino, a Sarnano, a Macerata, a Villa Potenza, a Filottrano nell’anconetano, prima, significativa tappa della decisiva battaglia di Ancona.

 

Eppure no, quei Paracadutisti non si sarebbero meritati la memoria dei maceratesi.

Monumento al Paracadutista d’Italia di Viterbo

A dirla così assurdo.

In realtà, neanche l’unico caso di “dimenticanza” malgrado il ruolo centrale degli uomini con le stellette nella Campagna d’Italia.

Fino ai primi mesi del 1944, infatti, il grosso dell’attività militare contro i tedeschi fu condotta dal Fronte Militare Clandestino, fondato e coordinato dal Maggiore dell’Esercito Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, catturato dalla Gestapo ed ucciso nel gennaio ’44.

Il grosso delle formazioni partigiane era nata con le “bande irregolari” di ufficiali, sottufficiali e truppa passati in clandestinità dopo la caduta di Roma, le cui competenze militari furono fondamentali a permettere l’operatività e la sopravvivenza degli stessi gruppi durante i seicento giorni della guerra civile.

Il problema, vero, si presentò a fine ostilità: i movimenti partigiani, espressione dei partiti politici, dovevano rivendicare il loro ruolo anche per fini di consenso; i militari non cercarono prebende perché avevano fatto solo il loro dovere, disinteressatamente.

Alla nuova Repubblica nata, più che sull’antifascismo, su una guerra civile che ha lasciato ferite non ancora rimarginate, serviva un mito fondativo, la Resistenza appunto, il cui ruolo nella guerra di liberazione fu amplificato. Grazie alla Resistenza avevamo vinto il conflitto e sconfitto il fascismo.

Così è stato forse per noi, non per gli anglo-americani che ci guardavano come una nazione sconfitta che aveva collaborato quale co-belligerante (neanche alleato!) alla Campagna d’Italia.

E, infatti, al Trattato di Pace di Parigi sedemmo fra gli sconfitti.

La debacle politico-militare fu attribuita al fascismo, alla monarchia e alle Forze Armate.

Se nei primi due casi la responsabilità era evidente, le Forze Armate pagarono invece oltre il dovuto.

Lo stesso Popolo italiano, che nel 1940 acclamò la dichiarazione di guerra a Francia ed Impero britannico, era stato vittima e complice del Regime e della sciagura della guerra.

Non esiste infatti regime, autoritario, democratico, totalitario che possa reggersi senza consenso.

Tuttavia, quest’ombra andava velocemente dissolta e così la colpa del disastro bellico fu scaricata sulle mimetiche.

Iniziò allora il progressivo allentamento dell’opinione pubblica dal mondo militare.

Soldati della 184ª Divisione a Sarnano

Nel più vasto contesto di “riprogrammazione” della memoria, poi, un ruolo decisivo fu svolto dalla Scuola che era stata messa al centro (e lo è ancora oggi) del dibattito sulla costruzione e sul rinnovamento di una coscienza e di una cultura collettive, attribuendole grande importanza.

Belle parole, cui tuttavia seguì un progressivo depauperamento dell’Istituzione scolastica, con l’obiettività e la curiosità – alla base della cultura – che lasciarono il passo ad influenze e sfumature di tutt’altro genere.

L’idea che passò (banale quanto radicata) era che la Scuola fosse icona di sapere mentre altre realtà, come il mondo militare, fossero chiuse, ottuse, poco inclini alla conoscenza.

Se ciò fosse stato e fosse vero ogni diplomato sarebbe un sapiente; tuttavia di nuovi Platone, in giro, se ne vedono pochi.

Qualcosa non torna, senza contare che Forze Armate e Scuola sono entrambe istituzioni della Repubblica, quindi, elevarne una a scapito di un’altra è assolutamente senza senso.

C’è un bel libro appena uscito, 45 milioni di antifascisti (Mondadori, 2023), storico delle istituzioni militari e prolifico saggista, il cui titolo riprende una citazione attribuita a Winston Churchill:

“Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti…”

La dissacrante ironia del primo ministro britannico fotografa vizi e virtù di un Popolo che non ha mai fatto i conti con la sua storia.

Ed il libro di Oliva ve lo consigliamo: un buono spunto di riflessione sul nostro passato e, perché no!, anche sul presente. Insomma, è abbastanza grave il fatto che una città possa aver scordato i suoi liberatori, a meno che chiaramente non vi siano eventuali altre ragioni.

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