Conflitto russo-ucraino: un’analisi giuridica del diritto internazionale

Di Giuseppe Paccione 

Mosca (nostro servizio particolare). Il braccio di ferro tra la Russia e l’Ucraina, man mano che il tempo trascorre, diviene sempre più acuto, in particolar modo da quando il Cremlino ha dispiegato più di centomila militari a ridosso della frontiera ucraina.

Il Presidente russo, Vladimir Putin

Il rumore degli stivali alle porte dell’Europa sta portando nel panico le cancellerie dei Paesi occidentali.

La crisi tra Kiev e Mosca è scoppiata nel 2014, dopo il referendum che sanciva il distacco della regione di Crimea dall’Ucraina e l’istituzione di un governo fantoccio filorusso, in cui le forze militari russe hanno raggiunto con le loro navi da guerra le coste crimeane per prenderne il pieno controllo.

La Crimea torna di attualità

La risposta della comunità internazionale alla condotta illecita della Russia di annettere l’appendice crimeana, non solo fu condannata, ma, attraverso l’adozione di una risoluzione approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, pose in chiaro che l’integrità territoriale dell’Ucraina deve essere rispettata e per integrità del territorio s’intende anche il lembo territoriale peninsulare della Crimea.

Nel febbraio 2020, alla conferenza sulla sicurezza a Monaco, il Presidente ucraino Zelensky faceva appello all’Unione Europea e alla comunità internazionale a non considerare l’annessione illegale come un fatto compiuto.

Il Presidente ucraino Zelensky

Altro aspetto da tenere in considerazione, circa l’occupazione della Crimea, di cui si dirà oltre, mercé il dispiegamento delle truppe russe, è la violazione dell’articolo 2 paragrafo 4 della Carta onusiana che sancisce sia il divieto da parte degli Stati di ricorrere allo strumento bellico, sia qualsiasi utilizzo o minaccia della forza intesa come Forza Armata; divieto divenuto parte integrante dello jus cogens, come la Corte Internazionale di Giustizia ha asserito nella sentenza sulle attività militari e paramilitari in Nicaragua e contro il Nicaragua del 1986.

Inoltre, l’annessione da parte di Mosca è una violazione del Trattato di frontiera concluso tra i due Paesi nel 2003, ossia l’accordo di amicizia e di cooperazione dove veniva riconosciuta l’intangibilità delle frontiere inter sé e la sovranità ucraina sulla Crimea, in cui le stesse autorità moscovite avevano riconosciuto il territorio crimeano, penisola affacciata sul Mar Nero, parte integrante al territorio ucraino.

La reazione di Mosca è stata motivata da una gamma di ragioni a livello giuridico, come il criterio dell’intervento su invito, l’intervento d’umanità, il ripristino delle frontiere russe e via discorrendo, tentativi che non giustificano una eventuale violazione di due obblighi fondamentali, considerati principi dello Statuto onusiano, quello della soluzione pacifica della controversia, come indicato nell’articolo 2, paragrafo 3, che riveste un’importanza fondamentale che deve guidare senza razionalizzare la condotta degli Stati, secondo cui essi devono adempiere al compito di risolvere o regolare le loro controversie internazionali con strumenti di genere pacifico, per evitare che la pace e la sicurezza internazionali rischino di finire nella morsa del pericolo, vincolo che può essere ormai ritenuto un principio generale di diritto internazionale; quello dell’interdizione del ricorso all’azionecoercitiva armata, il cui corollario logico è enucleato nel precedente paragrafo 3, sancito nel paragrafo 4 del medesimo articolo, che spesso risulta infranto.

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres

La discussione attorno alla crisi della controversia tra i due soggetti di diritto internazionale russo-ucraino, ritenuto un problema molto rischioso per la famiglia umana, deve essere condotta attraverso l’utilizzo di strumenti giuridici afferente al concetto di Stato e ai principi che regolano sia l’impiego dell’atto coercitivo di forza, sia le contromisure.

Senza dimenticare che possiede armi di distruzione di massa, ma anche uno scontro convenzionale fra le due super potenze russa-statunitense porterebbe a destabilizzare l’economia mondiale e le relazioni internazionali.

Un eventuale conflitto potrebbe cagionare una crisi sia sul piano del cambiamento climatico, sia su quello dei diritti umani che rischierebbero di essere violati.

In assenza di questi risultati, una non sufficiente risoluzione della crisi potrebbe comportare ulteriori impatti, non immediati, ma in definitiva del tutto corrosivi su quel minimo di ordine normativo che attualmente prevale nella vita sociale internazionale.

Per la Casa Bianca, il Presidente Vladimir Putin potrebbe cercare di delineare ciò che i Paesi occidentali considerano una condotta non rientrante nella liceità e, pertanto, non accettabile, facendo sembrare come se fosse reale una eventuale invasione, il capo del Cremlino potrebbe cercare di riuscire a strappare altre concessioni, come, ad esempio, essere libero di muoversi nell’ambito dei Paesi dell’Est Europa.

Questo richiederà lo strumento della diplomazia che utilizzi lo strumento del diritto internazionale.

Lo stesso governo di Kiev parla del diritto dell’Ucraina a tutelare la propria indipendenza e integrità territoriale, garantito dallo stesso diritto internazionale generale, riaffermando l’assoluto non ricorso allo strumento bellico e il suo diritto alla legittima difesa, ai sensi dell’archetipo statuto onusiana.

Le autorità di Mosca, preoccupate di un probabile ingresso dell’Ucraina nella NATO, hanno voluto rammentare ai membri dell’Alleanza atlantica l’accordo Partnership for Peace del 1994, inteso a costituire una specie di cornice di sicurezza valido erga omnes, cioè per tutti i Paesi europei, in cui gli Stati membri dell’organizzazione nordatlantica avevano dato ogni garanzia di non avviare l’espansione dell’alleanza verso Paesi che furono satelliti dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (ex URSS) e interferire nella sua sfera di influenza.

Le autorità di Kiev hanno allarmato, con delle prove schiaccianti, le autorità del governo statunitense sulla pianificazione della c.d. operazione false flag (sotto falsa bandiera), che la Russia sta attuando, come base giuridica, per l’impiego dei propri uomini come pretesto per un suo attacco contro il territorio ucraino.

LE OPERAZIONI SOTTO FALSA BANDIERA

Lo scenario dell’Operazione Sotto Falsa Bandiera, menzionando l’incidente di Gleiwitz del 1939 con cui la Germania hitleriana costruì ad arte un attacco polacco per mobilitare l’opinione pubblica tedesca e per fabbricare una giustificazione falsa per invadere la Polonia, si verifica nel momento in cui un gruppo ha deliberatamente travisato l’affiliazione e cela la sua vera identità, utilizzato durante i conflitti bellici o le crisi fra due o più Stati e le operazioni segrete.

Il luogo del cosidetto incidente di Gleiwitz

Operazione che consiste, inoltre, in attacchi di sabotaggio che prende di mira i gruppi separatisti dell’Ucraina orientale, supportati da Mosca dal 2014.

La Russia ha immediatamente risposto alle presunte accuse della Casa Bianca, negando in maniera categorica che abbia preparato un piano come un pretesto per invadere l’Ucraina mentre le truppe russe ammassate vicino al confine con l’Ucraina hanno lanciato lunedì altre esercitazioni.

Durante il dibattito in seno al Consiglio di Sicurezza abbastanza acceso dello scorso 31 gennaio, il rappresentante diplomatico russo ha dichiarato che le proprie truppe e il personale militare sono dispiegate sul territorio che è sotto la sovranità russa e nelle caserme dove sono sempre stati, a prescindere o no che si trovino a ridosso della frontiera.

Apparentemente, la Russia si preoccupa abbastanza del diritto internazionale da porre in pericolo i propri soldati per poi creare una giustificazione di diritto all’uso della forza per legittima difesa, ai sensi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, che circoscrive l’impiego dell’azione coercitiva militare in autotutela.

Spesso si usano di rado espressioni giuridiche come il concetto di sovranità, di aggressione e di legittima difesa collettiva per quanto concerne la sopravvivenza di alcune democrazie, come difatti quella ucraina, godente della sua personalità giuridica e soggetto di diritto internazionale, che è minacciata dalla Russia, Stato confinante.

Va da sé che lo Stato ucraino, qualora la Russia sia intenta ad occupare militarmente il Paese indipendente e sovrano con l’occupatio bellica, con l’obiettivo di sottoporla de facto sotto la propria autorità militare, ha il pieno diritto sia di difendersi, sia di appellarsi all’intervento di aiuto di uno Stato terzo o più Stati terzi per respingere l’aggressione esterna.

Diritto a difendersi da parte degli ucraini, insito nella Carta onusiana, come eccezione, previsto dal diritto internazionale cogente, alla proibizione dell’impiego della forza nelle relazioni internazionali.

Ergo, si può considerare che l’Ucraina, in quanto membro delle Nazioni Unite, si trova protetto dall’ombrello dell’inibizione di usare la forza armata, regola contenuta nel già citato articolo 2, paragrafo 4, divenuta una pietra angolare dello Statuto onusiano, valevole erga omnes in quanto è stato assorbito dal diritto internazionale consuetudinario come norma imperativa, anche per quegli Stati non ancora membri dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, come, ad esempio, Taiwan e il Kosovo.

Credo che, se si voglia evitare che tale crisi, la quale sta preoccupando la società internazionale, finisca in un tunnel senza via di uscita, sia necessario l’uso dello strumento del negoziato, costituente senza alcun dubbio il metodo migliore per avviare il dialogo e il confronto di posizioni fra i due Stati interessati alla controversia.

Attraverso tale strumento, garantito dal diritto internazionale, è importante che vi sia il coinvolgimento delle istituzioni internazionali per la concretizzazione della fase dello svolgimento delle trattative fra russi e ucraini.

I colloqui tra Mosca e Kiev potrebbero, ad esempio, svolgersi presso l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, organismo internazionale a carattere regionale, che si occupa dei diritti umani e delle questioni politico, militari ed economiche, che, come d’altronde sta facendo, monitora la situazione della sicurezza in campo con la Missione speciale di monitoraggio, dato che entrambi gli Stati sono membri di essa. Negoziati che devono puntare molto nell’espansione del Trattato di Minsk II, proposto da Francia e Germania alle autorità russe durante i colloqui, ossia riportare al centro del dibattitto il Protocollo addizionale di Minsk, che venne sottoscritto nel 2015 fra le delegazioni francese, russo, tedesco e ucraino, sotto l’egida dell’OSCE.

L’ACCORDO MINSK II

L’accordo Minsk II, che non è stato osservato dai due attori principali (Russia e Ucraina), ha languito senza un sostegno sufficiente da parte dei partecipanti o del principale non partecipante: gli Stati Uniti.

Una riunione del Gruppo di Minsk

A parere di chi scrive, l’Ucraina, gli Stati Uniti, i suoi alleati e la Russia possono rivedere l’accordo ed evitare l’escalation di un conflitto armato. I colloqui mirati per un nuovo accordo, denominato Minsk III, dovrebbero essere ambiziosi e risolvere non solo gli attuali problemi di confine, ma anche la ferita ancora non rimarginata della Crimea e altri certamente conflitti regionali.

Le disposizioni importanti di Minsk II da mantenere sono un cessate il fuoco nell’Ucraina orientale certificato dall’OSCE, la smilitarizzazione della regione di confine e l’autonomia per Luhansk e Donetsk.

Aggiungerei l’autonomia per la Crimea, il riconoscimento della sovranità ucraina e una forza di pace costituito dai peace-keeping o caschi blu delle Nazioni Unite per costituire dei cuscinetti di sicurezza interna.

Avviare la discussione diplomatica per abbozzare l’accordo Minsk III non è semplice per la mera ragione che serviranno, in primis, dei compromessi che possono essere avviati con un mero consenso da parte degli attori russo-ucraino, mettendo da parte la tentazione di intervenire con lo strumento bellico.

Inoltre, una gamma di altre questioni può essere risolta con l’avvio dei colloqui tra i due governi affrontando il tema del controllo degli armamenti, la condotta del cyberspazio e la messa al bando delle sanzioni.

La radice dello scatenamento di questa nuova crisi ucraina concerne la vestizione dell’Ucraina a divenire membro dell’Alleanza atlantica, della cui il Cremlino non vuole sentirne parlare, preoccupata che un passo del genere da parte dell’Ucraina comporterebbe successivamente la presenza di strutture militari sotto l’egida della NATO a ridosso delle frontiere russe. Dunque, la posizione di Mosca è un categorico “нет” (no secco!) all’Ucraina di entrare a far parte dell’Alleanza atlantica e richiamando gli occidentali a non dispiegare le loro forze militari sul territorio ucraino.

Il diritto internazionale riconosce che gli Stati, membri della società internazionale, come enti politici costituiti da una collettività stanziata su un lembo territoriale e fornito di sovranità e come tali considerati classicamente principes superiorem non recognoscentes o principes qui superiorem non habent, godono della piena libertà di avere con altri Stati delle alleanze, ad eccezione se esse siano vietate da un accordo.

Con un modus operandi non consueto, le autorità moscovite hanno posto sul tavolo sia dell’Alleanza atlantica, sia degli Stati Uniti un paio di bozze di accordi, come fine per ottenere garanzie relative alla tutela della propria integrità territoriale, afferenti alle garanzie di sicurezza (security guarantees) per disinnescare la crescente tensione tra le due Parti, volti a riformare l’architettura della sicurezza in Europa.

Il primo concerne l’Accordo sulle misure per garantire la sicurezza della Federazione Russa e degli Stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, in cui viene chiesto a «tutti gli Stati membri dell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico si impegnano ad astenersi da qualsiasi ulteriore allargamento della NATO, compresa l’adesione dell’Ucraina [che viene espressamente esclusa da un’espansione del Patto atlantico] e di altri Stati”.

Nella seconda bozza del Trattato tra gli Stati Uniti d’America e la Federazione Russa sulle garanzie di sicurezza, non vi è traccia o cenno dello Stato ucraino, in particolar modo quando si enuclea che «gli Stati Uniti non stabiliranno basi militari nel territorio degli Stati dell’ex URSSche non sono membri della Nato» ed “eviteranno l’adesione di Stati dell’ex Urss alla Nato, impedendo una sua ulteriore espansione ad Est”.

In poche parole, le autorità del Cremlino, nella lettura ictu oculi delle due bozze, chiedono il congelamento ufficiale dell’espansione dell’Alleanza atlantica a est, il ritiro delle truppe occidentali da Paesi dell’Europa orientale e, infine, il rimpatrio delle armi di distruzione di massa statunitense dispiegate in Europa.

Ovviamente, le risposte dell’Alleanza atlantica e della Casa Bianca alle proposte di sicurezza della Russia sono state di segno opposto. La NATO non è disposta a scendere a compromessi sui propri principi fondamentali, compreso il diritto dei suoi partners di scegliere la propria strada, ribadendo che l’Alleanza atlantica “non rappresenta una minaccia per la Russia. Abbiamo sempre lottato per la pace, la stabilità e la sicurezza nella regione euro-atlantica, nonché per un’Europa intera, libera e pacifica. Questo rimane il nostro obiettivo e ideale immutabile”.

M i membri della NATO ritengono che “il modo migliore per rafforzare la sicurezza euro-atlantica per il bene comune sia l’impegno di tutti i Paesi nei confronti degli scopi e dei principi della Carta delle Nazioni Unite, dell’ordine mondiale internazionale stabilito, nonché del corpo di documenti che hanno firmato volontariamente – l’Atto finale di Helsinki del 1975, la Carta di Parigi del 1990 e la Carta di Istanbul per la sicurezza europea del 1999. La Russia ha la stessa responsabilità di osservare i principi di questi documenti”.

Mentre gli Stati Uniti hanno risposto al governo russo che necessita di un serio percorso diplomatico per risolvere le dispute, che va da misure che aumentino la fiducia relativa alle esercitazioni e alle manovre militari in Europa al controllo degli armamenti sulla questione dei missili strategici e le armi nucleari posizionate nel continente.

NEUTRALITA’ PERMANENTE

Altro punto da tenere in debita considerazione riguarda l’istituto della cosiddetta neutralità permanente o neutralizzazione che, come è ovvio, si diversifica dal criterio del non allineamento, quest’ultimo ritenuto un’espressione non rientrante nel contesto della nozione giuridica ma viene utilizzato nella sfera dei rapporti internazionali, cui era ispirata la politica estera di Kiev, sebbene sul suo territorio vi era la presenza di basi militari della Federazione russa in Crimea, prima che quest’ultima diventasse parte integrante, nel 2014, della Russia e che le installazioni militari presenti sul territorio comportano la non compatibilità con lo spirito del non allineamento.

Ritornando alla neutralità permanente, considerata uno status giuridico soggettivo e un obbligo assoluto, sorto dal risultato di un accordo internazionale, essa comporta, secondo la versione classica, che lo Stato debba essere vincolato a non muovere guerra e a non tenere una condotta in grado di trascinarvelo, da un lato, e, dall’altro, gode del diritto affinché altri Stati non procedano nei suoi riguardi ad aggressioni armate.

Ergo, lo Stato, che si trova sotto l’ombrello della neutralizzazione in tempo di pace, deve attenersi ad una gamma di vincoli mirante ad evitare che venga coinvolto o trascinato in un conflitto bellico.

In aggiunta, la neutralità permanente, affinché possa essere sine die o durevole nel tempo, implica degli adempimenti strumentali come, ad esempio, quello di non aderire ad alleanze militari, ad accordi sulla concessione di installare basi militari sul proprio territorio, di prendere parte a uno scontro bellico appoggiando l’uno o l’altro Stato belligerante, neppure permettere loro di ottenere delle facilitazioni di transito attraverso il suo territorio.

La storia, considerata maestra di vita, ci riporta spesso a guardare al passato come, ad esempio, dopo il II conflitto mondiale proprio i grandi vincitori come la Francia, il Regno Unito, la Russia (ex URSS) e gli Stati Uniti compatti avviarono il primo processo penale, a livello internazionale, che aveva come obiettivo quello di perseguire il reato d’aggressione quale crimine supremo contro la famiglia umana.

Oggi, l’emendamento su tale crimine, adottato alla conferenza il 10 e l’11 giugno 2010, nel corso della Conferenza di revisione statutario, che si è riunita a Kampala tra maggio e giugno del 2010, è riconosciuto solo da una parte degli Stati membri della comunità internazionale.

Si spera che tutta la società internazionale sia compatta nel far rispettare le norme che regolano le relazioni internazionali come la Carta onusiana, lo Statuto di Roma e il diritto internazionale cogente.

Gli strumenti ci sono, dai quali sia la politica che la diplomazia possono utilizzare per cercare una via di uscita con lo scopo di risolvere la crisi ucraina e focalizzare sui compromessi necessari.

Oltre agli Stati, anche le organizzazioni internazionali e regionali, come le Nazioni Unite, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, l’Unione Europea, la NATO, il Consiglio d’Europa devono essere unanimemente compatti nel fronteggiare la controversia russo-ucraina, ricordando ai due attori statali che devono tutelare, in primis, i diritti umani con il rispetto e l’attuazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Non vi devono essere compromessi nel negoziato in cui possano andare in contrasto con le norme del diritto internazionale.

Non si dimentichi di ribadire, inoltre, che in questa crisi vi è ancora l’ostacolo della totale restaurazione della sovranità ucraina con riferimento alla penisola crimeana, la cui annessione da parte russa è reputata ormai un fatto compiuto, malgrado il disconoscimento della comunità internazionale di considerarla de facto e de jure lembo territoriale russo.

 

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