Guardia di Finanza: caporalato nel settore della vigilanza privata, nei guai una società-leader ora sottoposta ad amministrazione giudiziaria. Indagato un imprenditore

COMO.  La forma di caporalato che probabilmente non ti aspetti, questo è quel che hanno scoperto i finanzieri del Comando Provinciale di Como i quali, su disposizione del GIP del Tribunale di Milano e dietro richiesta della Procura della Repubblica meneghina, hanno dato esecuzione al controllo giudiziario nei confronti di una società leader nel mercato della sicurezza e della vigilanza privata.

Il provvedimento della competente Autorità Giudiziaria è stato emesso a seguito di un’ipotesi di reato collegata a numerosi episodi di sfruttamento del lavoro (art. 603 bis del Codice Penale), emersi a seguito d’indagini svolte dagli specialisti del Nucleo Polizia Economico Finanziaria (PEF) e che hanno consentito di accertare come una società cooperativa – con il fine di proporsi sul mercato con prezzi difficilmente sostenibili dalle società concorrenti – abbia messo in atto nonché reiterato veri e propri atti di sfruttamento del lavoro, profittando delle condizioni di necessità in cui si trovano i suoi oltre 9.000 lavoratori.

Militari della Guardi di Finanza impegnati con le attività d’ufficio

Stando a quanto dimostrato dall’indagine della GDF comasca, infatti, ai lavoratori della cooperativa in questione viene corrisposta una remunerazione oraria di 5,37 euro lordi, pari a una retribuzione mensile di circa 930 euro (sempre lordi) e con netto alla mano di appena 650 euro.

Considerato il davvero esiguo salario, la quasi totalità dei dipendenti era dunque disponibile ad accettare ore di lavoro straordinario in quantità abnorme, quantomeno per garantirsi un reddito oltre la c.d. “soglia di povertà”.

Secondo quanto presentato sul tavolo degli inquirenti, oltre alla sin troppo evidente sproporzione retributiva, i lavoratori dovevano peraltro sottostare ad atti di violenza (specialmente verbale), minacce e intimidazioni di vario genere, per lo più correlate alla perdita del posto di lavoro oppure anche all’invio in sedi di lavoro distanti, come anche in postazioni oltremodo disagiate perché caratterizzate da condizioni di precarietà, carenze igienico-sanitarie, in contesti degradati, insalubri o anche connotati da una certa pericolosità.

Sempre stando a quanto fatto emergere dagli investigatori delle fiamme gialle, è stata altresì rilevata la sostanziale impossibilità dei soci-lavoratori di essere partecipi nella direzione della cooperativa, che infatti veniva eterodiretta dai vertici della principale società committente.

Condizioni di sfruttamento a tutto tondo dunque, che hanno visto migliaia di lavoratori fungere da “volano” per gli introiti della società in questione; uno sfruttamento non contemplabile da alcun contratto di lavoro e che ha consentito alla citata compagine di raddoppiare il proprio fatturato dal 2016 ad oggi, collocandola così tra le aziende italiane leader nel settore.

In ragione di uno scenario a dir poco sconcertante, e stante la gravità come il perdurare delle situazioni irregolari scoperte dai finanzieri, il Tribunale di Milano – anche in considerazione delle imponenti dimensioni aziendali come dei termini di fatturato ed il numero di lavoratori impiegati, ha pertanto ritenuto necessaria la nomina di un Amministratore Giudiziario, mentre l’imprenditore si trova ora a rispondere del delitto di caporalato.

È comunque opportuno ricordare come all’indagato vada a tutt’oggi riconosciuta la presunzione d’innocenza, nonché la possibilità dello stesso di far valere, in ogni fase del procedimento, la propria estraneità ai fatti per i quali si procede, significando dunque che ogni addebito penale nei suoi confronti non potrà essere dichiarato sino ad eventuale sentenza definitiva di condanna.

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