Russia-Ucraina: la guerra e molto altro. Ben oltre lo “spettacolo”

Di Vincenzo Santo*

Roma. Niente da fare, lo spettacolo impera, facendo perdere di vista i contorni di questa tragedia nel cuore dell’Europa, qualche decennio dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Carri tedeschi nella guerra di Russia

Non scordiamoci, infatti, l’incompiuta nei Balcani, prima la Bosnia e dopo il Kosovo con rigurgiti in Macedonia.

Una mappa dei Balcani

Va bene, in Ucraina si combatte, e inanelliamone pure ipotesi di sviluppo, così che la gente si impressiona. Ma la Cina, l’India e il gas?

Il fascino della carta su cui recitare la parte di infallibili strateghi è irresistibile.

I conduttori televisivi godono nel mostrare la “carta della situazione” con le aree occupate dai russi.

Presumibilmente tutte occupate dalle truppe di Mosca. Dico presumibilmente, non a caso.

Truppe russe

Un migliaio di chilometri di fronte per una penetrazione supposta di 70 compone un’area di 70 mila chilometri quadrati.

Un po’ troppo per una forza di soli 200 mila uomini, come ci hanno detto. Se poi, oltre a controllare, devono anche combattere ed espandere il loro controllo, andiamo fuori misura.

E le incursioni degli ucraini, poi, fanno godere. Accendono gli animi della “resistenza”, come inneggia Enrico Letta.

E ora che Odessa pare sotto nuova pressione, ne immagino le “fantasie da avanspettacolo” che metteranno in onda.

Vorrei conoscere, infatti, l’origine di quelle informazioni.

Giorni fa, mi dicono, che nella trasmissione di Rai 1 a Porta a Porta, il Bruno Vespa nazionale sia apparso contrariato quando, rispetto al vangelo corrente, che vedrebbe i russi in difficoltà, il buon Andrea Margelletti, trasformatosi in generale con tanto di galloni, aveva vaticinato un accerchiamento delle forze ucraine da qualche parte, a ridosso del Donbass, laddove probabilmente si erano ammassate per sferrare un attacco decisivo contro le Repubbliche ribelli.

Di fatto, quindi, chiudendosi in una sacca, e i russi sono bravi a crearle, tra il Donbass stesso e le due penetrazioni da sud e da Karkhov.

COSA STA ACCADENDO?

È quello che sta accadendo? Chissà, forse. Con un pubblico rimbecillito dalla propaganda occidentale e dal tamtam dei troppi talk show, ognuno dei quali si arroga il possesso della verità circa il fallimento militare russo, questi canali si troverebbero ora in difficoltà a presentare tutta un’altra storia.

E, ovviamente, Vespa si infastidisce accusando Margelletti, e chissà chi altri, di cambiare ogni volta la storia. Ma ora, a salvare Vespa, ci sarebbe la nuova situazione su Kiev.

Mi è financo capitato di sentire una domanda da parte di un conduttore che chiedeva se dai filmati trasmessi l’esperto di turno non avesse l’idea che i russi fossero male in arnese. Che povertà di pensiero, è guerra, mica una parata!

Ma è ovvio che la comunicazione non può che evolvere in questa maniera, semplicemente per il fatto che non si sa niente di quello che accade sul campo di battaglia.

Un prigioniero russo nelle mani ucraine, un Sukoi abbattuto o un T72 in fiamme non fanno una sconfitta né una vittoria. Né la verità sta solo da una parte, a meno che non la si consideri tale solo quella che risponda al sentimento della maggioranza.

Un carro armato T-72B1 russo

O ci si voglia basare sulle informazioni spettacolari di un Massimo Giletti che, come tutti i suoi colleghi, cerca di alzare lo share dell’audience di questi programmi che mi pare sia davvero molto poco lusinghiera.

Lui è sul campo di battaglia “perché la guerra la si deve vedere dal vivo”. Ma capire che cosa accade sul piano operativo è ben altra cosa.

Mosca è in difficoltà? Forse. Ma il fatto che Zelensky non stia un attimo zitto, e non finisca di chiedere aiuto militare e di condannare chi non glielo dà, non potrebbe essere forse segno che neanche da quella sponda le cose sul fronte militare stiano andando bene?

Il Presidente ucraino Zelensky,

In realtà, nessuno sa come questa guerra stia andando e soprattutto come finirà e quando finirà. Neanche Margelletti.

Pertanto, tutti coloro che vivono la propria giornata tra la speranza e il terrore se ne facciano una ragione. Vadano da uno psicologo.

Non si riesce a uscire da questa “tattica”, di basso livello.

ANALISI “PSICOPOLITICA” DEL CONFLITTO

Il problema politico che io vedo è ora il seguente: avendo di fatto sospinto l’Ucraina in guerra e illusa di poter riprendersi facilmente il Donbass, ma conoscendo bene le possibili reazioni russe e, forse non troppo bene. le capacità ucraine, gli Stati Uniti non sanno ora come salvarla.

Da parte sua, avendolo iniziato, la Russia non sa dove e come finire questo conflitto. Infine, essendo stata spinta in questa guerra, Kiev ora non sa come uscirne.

Peggio, Zelensky sa che se accetta le condizioni russe verrà defenestrato.

E il potere affascina, mica solo Putin. Questo, io credo sia il quadro “psicopolitico”.

Ciò di cui l’Ucraina ha disperato bisogno è un cessate il fuoco. Sta giocando ai quattro cantoni, dalla Turchia alla Francia, da Israele al Giappone fino a lusingare l’Italia.

Alla ricerca di qualcuno che convinca Putin a venire a patti, visto che parlare direttamente con lui costringerebbe Zelensky a concedergli qualcosa.

Del resto, che senso avrebbe mollare su qualcosa ora ciò che il Presidente ucraino poteva concedere a Mosca prima che questa tragedia iniziasse?

Quanto, nei giorni scorsi, avrebbe promesso e scritto, che cioè Kiev non farà domanda per aderire alla NATO e rimarrà neutrale, avrebbe potuto dirlo prima.

Anche lui, come Putin, agita le acque per mantenere lui l’attenzione degli amici, l’altro per disarmarne gli slanci.

E ricordo, ancora una volta, che per accedere nella NATO occorre essere invitati. Leggere l’articolo 10 del Trattato aiuterebbe molti.

Ora Zelensky ci fa sapere che punta alla vittoria e che i russi vogliono appropriarsi del Donbass e del Sud del Paese. Che scoperta!

Ma lui, a sua discolpa, se ne ha, non poteva concedere nulla prima che sparasse il primo cannone, sarebbe stata una pericolosa deviazione dalla strategia americana.

È stato messo nei guai? Io dico di sì. È giusto che si difenda? Io dico di sì.

Giusto dargli strumenti seri per combattere? Certo che sì. Proprio per questo, temo che sarà difficile arrivare a una conclusione conciliata. Ma mi auguro di sbagliarmi.

E, ammettendo che gli USA non intervengano coinvolgendo la NATO, cosa che io ancora reputo possibile, se la resa arrivasse da Kiev?

La Russia avrà ottenuto tutto ciò che voleva e l’Ucraina avrà concesso tutto ciò che aveva negato con il suo presidente ballerino defenestrato. Soprattutto, sarebbe il fallimento di Washington.

Il messaggio pesante sarebbe che gli Stati Uniti non possono proteggere i propri “amici”.

Possiamo facilmente immaginare le ripercussioni in Estremo Oriente, in Paesi come il Giappone, la Corea del Sud e, soprattutto, Taiwan. E lo status di Taiwan è molto inferiore a quello ucraino.

Un godimento per Pechino.

Ma Washington può perdere questa partita? Difficile. Il disaccoppiamento Russia ed Europa occidentale, il “riaddomesticamento” di quest’ultima grazie all’uscita di Angela Merkel, l’approccio trascendente di Joe Biden per l’etica dell’assoluto, in contrapposizione a quello imperiale “sacro” russo, e le difficoltà interne americane rendono una sconfitta strategica non contemplabile, per una visione che punta con uno sguardo molto più preoccupato verso il Pacifico, sulla Cina.

L’arrivo della cancelliera tedesca, Angela Merkel a Sochi nel maggio del 2017

LA POSIZIONE DELLA CINA

E la posizione del “celeste impero”, infatti, mi pare si sia delineata chiaramente uscendo fuori da un certo equilibrismo.

L’appoggio a Mosca è chiaro, nonostante la Russia prema per un approccio indipendente per il Donbass, cosa che Pechino rifugge nel timore che la cosa possa riverberarsi su Tibet e Xinjiang.

Da qui il sostanziale fallimento della chiacchierata tra Biden e Xi Jinping di qualche giorno fa.

Il Presidente cinese, Xi Jinping

Il Presidente cinese avrebbe snobbato Biden dicendo che “coloro che hanno legato la campana alla tigre devono scioglierla”, incolpando chiaramente la NATO e gli USA per la guerra e specificando che Washington dovrebbe smetterla di credere di poter risolvere da sola le questioni internazionali.

I tempi sono cambiati e Biden della nuova distribuzione di potenza dovrà farsene una ragione, oppure usare la forza. Ma anche subirla.

Joe Biden, Presidente USA

Un fallimento che si abbina al rifiuto saudita e degli Emirati Arabi Uniti DI aumentare la produzione di greggio per allentare i prezzi del petrolio a meno che gli Stati Uniti non li sostenessero nello Yemen e altrove.

Israele e la Turchia avranno pure criticato l’attacco russo, ma la loro posizione è neutra, non seguono la narrativa occidentale.

E poi Assad, amico di Mosca e molto grato a Putin, va in visita gli Emirati, mentre Riyad pare stia persino considerando di uscire dal vincolo del prezzare il suo petrolio in dollari.

Bashar Al Assad e Vladimir Putin

Vorrebbe farlo in yuan per le vendite alla Cina? Il ministro degli Esteri cinese, infine, risulta essere stato invitato per la prima volta alla riunione dell’Organizzazione per la cooperazione islamica.

E la riunione con i rappresentanti dell’UE? Lasciamo perdere.

La collana di perle americana lungo il rimland è solida? Presto per dirlo, francamente.

Certo è che la timidezza indiana verso il Quad ha spinto Washington a crearsi l’AUKUS con Australia e Gran Bretagna.

Ce lo ricordiamo lo sgarbo nei confronti di Parigi per la storia dei sottomarini all’Australia?

Eppure, l’India, molto fredda sul dossier americano dell’Ucraina, in quello scacchiere rivestirebbe un ruolo insostituibile nell’evenienza di un’azione di forza di Pechino su Taiwan.

Che posizione avrebbe quindi? Washington ad oggi non ha rinfacciato a Delhi la sua palpabile inclinazione filorussa, è vero.

L’intento è evidentemente quello di tenersela buona per un domani.

Neanche i premier australiano e giapponese, Morrison e Kishida, hanno calcato la mano.

Il primo ministro australiano Scott Morrison

Anzi, il giapponese ha firmato degli accordi strategici e si è impegnato a investire in India 42 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni. Nonostante il disaccordo sottotraccia per l’Ucraina.

Da parte sua, Pechino conta sulla capacità di resistenza alle pressioni americane da parte dell’India stessa.

I notevoli contenziosi confinari tra i due colossi costituiscono una leva importante per fare dissuasione sugli indiani perché non si impegnino in avventure controproducenti per un paese in forte necessità di sviluppo.

Ma da qui a parlare di un asse informale Russia-Cina-India per il futuro è fantascienza.

Anche se Delhi non si farà problemi a continuare ad acquistare il petrolio russo, sapendo di avere il coltello dalla parte del manico, tant’è che Washington non farà nulla per punirla per l’acquisto indiano di un sistema missilistico russo, l’S-400.

Il sistema missilistico S-400

LA QUESTIONE DEL GAS

E il gas?

Io non sono tanto certo che qui in Europa le molte persone che parlano di come procurarsi il gas, e farlo presto e da altre parti che non sia la Russia, abbiano le idee chiare.

In una precedente occasione ho puntato il dito contro l’insipienza della nostra politica e dei nostri servizi di intelligence e della nostra classe diplomatica.

In sintesi, se il sospetto della pericolosità di un Putin è nota almeno dal 2014, perché nulla si è fatto per garantirci, noi Italia, una diversificazione strategica? Per paura della Merkel? Forse.

Ma se è così, la mia opinione è che molta di quella gente che popola quegli ambiti che ho menzionato deve essere mandata a casa.

Oppure, Servizi e diplomatici devono subito dimostrare, carte alla mano, di aver “avvertito” la politica e, pertanto, di mettere in condizioni gli italiani di sapere chi non votare. Semplice.

Ma capisco che per i vari diplomatici di vario livello e ai componenti dei servizi, poltrona e privilegi vari hanno preminenza.

Sono passati 8 anni, infatti, da quando la Crimea è passato di mano.

Ci aiuteranno gli USA, dicono. Sì, ma a loro vantaggio.

Il conflitto tra Russia e Ucraina ha esasperato una condizione di dipendenza energetica che affliggeva l’UE già prima dello scoppio delle ostilità.

A fine marzo, Stati Uniti e Unione Europea hanno stretto un accordo bilaterale che prevede l’aumento delle forniture di Gas Naturale Liquefatto (GNL) americano all’UE, con l’obiettivo di ridurre via via la dipendenza europea dal gas russo.

L’obiettivo è quello di arrivare ad almeno 50 miliardi di metri cubi per il 2030.

Qualche numero. Gli Stati Uniti, su un mercato complessivo pari a 860 miliardi di metri cubi, ne esportano all’estero solo 100 miliardi. Di questi, nel 2021, solo 35 sono arrivati in Europa. Con i 15 promessi in più si arriva a 50.

Però, per arrivare a questi famosi “50”, sarebbero necessari 20 miliardi di dollari per la costruzione dei liquefattori (grandi impianti dove il gas viene ridotto di volume per oltre 130 volte così da stivarne il più possibile) e altri 9 miliardi per una flotta adeguata a questo trasporto.

La Ue si è detta anche disponibile a coinvestire nel progetto. Cifre importanti, cui si aggiungono i costi derivati dall’aumento del prezzo del gas nel corso del 2021.

Tuttavia, ci sono problemi di natura tecnica ed economica. Gli USA, già al massimo nei volumi esportati, dovrebbero cancellare alcune forniture a clienti quali Giappone e Corea del Sud, importanti alleati nel fronte anticinese.

Inoltre, per il GNL servono particolari terminal per il carico e lo scarico delle cisterne e le infrastrutture necessarie per lo stoccaggio e la rigassificazione che consenta di pompare il GNL nei gasdotti tradizionali.

Una realizzazione che non si compie dalla sera alla mattina.

Richiederebbe dai due ai cinque anni.

Ce lo possiamo permettere? E se anche riuscissimo ad avere questi 15 miliardi di m3 in più per la fine del 2022, il problema emergenziale rimane.

Cioè, ove Mosca chiudesse i rubinetti da dove andremmo a prendere il resto per compensare quanto necessario per arrivare alla cifra di 150 e passa, il volume che attualmente importiamo da Mosca?

Di Maio e Di Stefano, in tour di beneficenza a Baku, ritorneranno vittoriosi vantandosi di aver ottenuto un aumento del flusso di gas.

Potevano tranquillamente starsene a casa, si sapeva già, negli ambiti tecnici, e detto anche su Radio24, Focus Economia, che al massimo saremmo arrivati a 10 miliardi di metri cubi per quest’anno. Ne avremo 9 e mezzo. Più la graziosa concessione algerina di 2 miliardi in più. Il raddoppio del TAP potrebbe richiedere dai 2 ai 3 anni.

Visti i numeri, ho paura che l’Italia non abbia un piano per compensare tutti i 30 miliardi di metri cubi che importiamo dalla Russia.

Quindi, ci chiederanno di abbassare di qualche grado il riscaldamento, di spegnere le luci, di rinunciare all’aria condizionata quest’estate, di fare docce tiepide e alimentarsi con piatti rigorosamente freddi.

E guardo con sospetto alla nostra sicurezza per cui Mosca sarebbe costretta a vendercelo comunque. Mi permetto di essere scettico.

Noi non sappiamo veramente che cosa succeda nel lontano Est siberiano tra Russia e Cina, nel commercio del gas dal bacino di Yamal, anche se il Power of Siberia 2 forse deve ancora essere costruito. Potrebbero aver messo su altre modalità di trasporto.

Comunque, gli USA non possono fare di più di quanto già fanno ora. Né gli altri esportatori di LNG possono, dati i contratti a lungo termine già in atto e le rispettive attuali capacità estrattive.

Washington, in particolare, con i suoi 7 impianti di esportazione, sarebbe quasi al limite della produzione di LNG e, soprattutto, del raffreddamento per il trasporto in gasiera. Almeno per ora. E, a quanto pare, secondo quel genio della “Ursula”, finiremo per pagare anche noi europei per fargli aumentare produzione e trasporto. Bel colpo!

Lasciando comunque da parte la loro modalità estrattiva (hydrofracking), molto discussa a livello ambientale, non mancano gli svantaggi da un punto di vista tecnico ed economico.

Proprio a causa delle lavorazioni di cui necessita il gas liquefatto, il costo industriale è in media più elevato del gas che arriva tramite i gasdotti dalla Russia.

Si stima, infatti, che questo processo produttivo sia più costoso di circa il 20% rispetto all’importazione di gas naturale che in Italia, ad esempio, ha visto a fine marzo un costo di circa sette dollari per MMBtu (Million Metric British thermal units, circa 28 metri cubi).

Si pensi solo che nei giorni immediatamente a seguire dell’inizio delle ostilità, il prezzo era salito persino a 60 dollari per MMBtu.

La diversificazione sull’LNG quindi costa di più. E non ci rende indipendenti. Il che, come è facile capire, renderà le industrie europee meno competitive. E già ora la gente comune si lamenta dei costi per l’energia.

Un successo! Forse Putin e i suoi ragionamenti davano segni di pazzia già da tempo, ma non abbiamo fatto nulla per metterci al sicuro sul fronte energetico. Complimenti.

La guerra di logoramento, che io credo Mosca stia conducendo, il vecchio “generale inverno”, anche se siamo in atmosfera primaverile, punta a questo probabilmente.

A colpire indirettamente le economie del Continente e puntare sulla rabbia degli europei per il caro vita. Con pazienza, altro che guerra lampo.

E questo conflitto comporta anche come si effettuerà il pagamento del gas russo? Ora, non mi è ancora chiaro il meccanismo che Putin vorrebbe instaurare costringendo gli acquirenti ad aprire un conto in rubli presso la Gazprombank.

Tutti hanno detto di rifiutarsi di pagare rubli. I russi hanno detto che non accetteranno dollari ed euro.

Inoltre, Stati Uniti e Regno Unito hanno vietato la vendita di oro russo nei rispettivi mercati finanziari.

Ma c’è Shangai dove lo si può fare, e Pechino non sarà così collaborativa con l’Occidente.

Quindi, la Banca Centrale russa comprerà oro, e ne ha già acquistato parecchio, e quell’oro potrà essere venduto in rubli. Potrebbe essere questa un’alternativa? Chissà.

Tuttavia, se Mosca chiudesse davvero i rubinetti e vendesse a indiani, cinesi o giapponesi ricevendone rupie, yuan o yen, gli europei comprerebbero quelle monete per rimanere nel mercato?

Un “dispetto” al dollaro? Del resto, Tokyo non ha rinunciato a un grande progetto di estrazione del gas (Sakhalin-2) con la Russia, nonostante abbia adottato, come noi, sanzioni contro Mosca.

Confermato dallo stesso Kishida, giusto un paio di giorni fa.

L’impatto collaterale della guerra potrebbe essere proprio sul dollaro USA e sullo stesso ordine finanziario globale? Le sanzioni in atto, che sono destinate a influenzare la vendita di petrolio e gas russi ma anche tutta l’economia delle materie prime, possono anche influenzare il dollaro USA?

Il dollaro, chiusa l’epoca del “gold standard”, voluta da quel furbacchione di Nixon nel 1971, ha una tale forza da essere paragonata, come qualche economista di Harvard mi pare ebbe modo di dire nel 2006, alla materia e alla forza oscure che sorreggono l’universo.

Qualcosa di impalpabile ma i cui effetti ne spiegano l’esistenza. In termini pratici, è l’assicurazione che il sistema e il potere geopolitico degli Stati Uniti forniscono al dollaro.

La domanda di una valuta la fa rafforzare, o migliorandone il tasso di cambio con le altre valute oppure alzandone il tasso di interesse che attira a sua volta altra domanda. Questo accade al dollaro.

Ora, se si considera che il commercio globale nel 2021 è stato dell’ordine di 28 mila miliardi di dollari e che il 90 % di questa cifra è stato realmente effettuato in dollari, si capirà bene come Washington farebbe ferro e fuoco per difenderne il dominio.

Ecco perché Russia e soprattutto Cina, il vero antagonista strategico degli USA, mettono di volta in volta in discussione questa sovranità, un pilastro dell’attuale ordine mondiale da cui vorrebbero affrancarsi. Ogni occasione è buona.

Anche questa guerra?

RIDISTRIBUZIONE DI POTENZA

E qui ritorna il discorso della nuova ridistribuzione di potenza, non solo militare, ovviamente.

La guerra in Ucraina è solo un passaggio necessario nella strategia americana che guarda più in là. E la partita con Pechino è ancora aperta.

Anche per questo ritengo che Putin non abbia obiettivamente la potenza per uscire pieno vincitore nel modo e con i risultati che lui auspicava e forse ancora auspica.

Al momento. Soprattutto se gli eventi evolvono con un intervento americano, e nostro. Ma di una cosa sono certo: chi ne trae già adesso vantaggio è proprio Washington.

Intanto in termini economici ma anche di “vincolo geopolitico” nei confronti dell’EU.

Il “riaddomesticamento” di cui ho parlato prima. Servirà per dopo.

Noi europei, invece, comunque vada a finire questa storia, ne usciremo ridimensionati. Al di là delle allegre sirene sulla coesione dimostrata e sulla solidità di intenti e del muso duro mostrato a Mosca, l’Europa non avrà acquisito la tanto sperata indipendenza energetica.

L’avrà solo spostata da oriente a occidente, con conseguente sudditanza politica. Un salto nel passato, altro che “Strategic Compass”.

Abbiamo vissuto in naftalina non comprendendo cosa fosse cambiato dal 2008 in poi, e forse da ancora poco più in là nel tempo, fidandoci ciecamente delle decisioni d’oltreoceano.

E Corpi diplomatici e Servizi di intelligence hanno viaggiato evidentemente quasi sempre con la tartina in bocca. E non parlo solo dell’Italia.

Noi italiani possiamo essere da una parte o dall’altra e fare il tifo, e rinunciare a un’analisi seria, di tipo teleologico e meccanicistico assieme, su quale sia lo scopo di qualcosa e quali le motivazioni che hanno potenzialmente causato un evento.

Va tutto bene, ma tutta questa partita tra tifoserie ci sta facendo sfuggire la necessità di un cambiamento radicale.

L’ho già scritto: Corpo diplomatico e servizi di intelligence vanno completamente rigenerati. E, infine, si deve provvedere a mettere su un Consiglio per la Sicurezza Nazionale sul modello di quello americano, costasse anche cambiare la Costituzione.

Abbiamo bisogno urgente, in questo mondo “pazzo”, dopo Donald Trump abbiamo scoperto anche Putin, di una nostra strategia di sicurezza seria, non delle evoluzioni sofistiche inconcludenti tipo quelle di un ultimo capo di Stato Maggiore della Difesa in un suo concetto strategico inconsistente.

L’ex Presidente USA, Donald Trump

Il capo dell’intelligence militare francese è stato mandato a casa pochi giorni fa. Nei Paesi seri accade. Da noi, invece, i nostri responsabili politici e no sono ancora lì, sul palcoscenico.

Da noi anche le tragedie costituiscono un’ottima occasione di spettacolo, c’è la “prima” e poi tante repliche.

Temo che ce lo meritiamo!

*Generale di Corpo d’Armata Esercito (ris)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Autore