Sicurezza informatica: un numero elevato di Enti statali gestirà i nostri dati in maniera interoperabile. Siamo pronti?

Di William Nonnis*

Roma. E’ notizia recentissima che il Governo abbia approvato lo scambio di informazioni sui dati dei cittadini tra più di 500 Enti pubblici, la qual cosa, letta di primo acchito, potrebbe risultare (e lo sarebbe) determinante per il nostro Paese, finalmente al passo con la transazione digitale che si sta tanto sollecitando.

Una vera rivoluzione nel tracciamento dei movimenti finanziari e patrimoniali, o nel processo di automazione di detrazione fiscale, mentre il cittadino accede ad alcuni servizi, ad esempio come quelli sanitari.

La sicurezza informatica interessa tutti i cittadini

Tutto perfetto se non esistesse però il problema, a mio avviso, di far coincidere tale ambizioso progetto con la sua effettiva realizzazione, che dovrà necessariamente tener conto dello stato oggettivo in cui l’Italia si trova attualmente in ambito di trasformazione tecnologica, di infrastrutture critiche (IC), che costituiscono le colonne portanti su cui elevare tutta la struttura innovativa e, non in ultimo, per il grado di informazione-formazione informatica  dell’intero settore impiegatizio che dovrà  trattare e  gestire un numero enorme di dati estremamente sensibili, ma anche del singolo utente che usufruirà e beneficerà di tale snellimento burocratico e importante facilitazione di pratiche.

Molto semplicemente, sarebbe come offrire le chiavi di una Ferrari rombante a chi non ha neanche la patente!

Partendo dal principio, per trasformazione digitale si intende il radicale cambiamento dell’organizzazione sociale che, investendo ogni settore, individuale, interpersonale, professionale ed economico consente di conoscere, comprendere e quindi cogliere tutte le opportunità dell’innovazione tecnologica, a partire dalla comunicazione attraverso i nuovi media, che hanno, ora più che mai, un ruolo essenziale di ponte e divulgazione capillare corretta.

La trasformazione digitale coinvolge, dunque, trasversalmente e nel profondo, tutto il tessuto comunitario, essendo il fulcro di tutti i cambiamenti tecnologici, organizzativi, culturali, sociali e creativi, poiché passa attraverso 5 macro ambiti essenziali: tecnologico, economico regolativo, normativo e culturale.

Verso un’Italia più digitalizzata?

Con tale assunto, il primo dubbio è se tutte le organizzazioni sociali conoscano e siano in grado di comprendere il tema in questione.

Per mia esperienza, toccata lungamente sul campo, posso con certezza asserire che una larghissima percentuale della popolazione nostrana non ha la corretta percezione della epocale trasformazione in atto e di come esserne parte attiva e fattiva, restandone invece coinvolta in maniera passiva, approssimativa e/o inconsapevole.

Prima di avviare il Paese, come un esercito in una disastrosa campagna, verso una colossale disfatta, per mancanza di strategia e di adeguati equipaggiamenti, si dovrebbe coinvolgere, a partire dalla base, ogni tipo di organizzazione, pubblica e privata, per poi analizzare le problematiche emerse e progettare una traccia modellabile e flessibile per i vari contesti di aziende e settore pubblico a seconda della finalità.

L’altro dubbio concerne il livello di comprensione generale di che cosa siano, e della loro reale e nevralgica importanza, le infrastrutture critiche (IC) e se esse siano sufficientemente funzionali in Italia per svolgere il ruolo di sostegno di ogni attività digitale. Sempre per averlo esperito sul campo quotidianamente, in largo e lungo nel nostro Paese, ritengo lo siano solo a metà.

Per infrastrutture critiche (IC) si intendono tutte quelle strutture che sono essenziali per il funzionamento e il mantenimento degli ambiti vitali di una società, quelli che ne costituiscono l’ossatura e ne permettono un movimento equilibrato, simmetrico e una sua costante crescita ed evoluzione.

Operatori del Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche (CNAPIC) controllano la situazione sul Web

Sono quindi la Governance, che orchestra e raccorda tutti gli strumenti, la salute, la sicurezza e il benessere economico e sociale (che non è affatto o solamente il PIL) di un intero Paese.

Pertanto le infrastrutture critiche (IC) che uno Stato dovrebbe gestire per garantire servizi equamente distribuiti all’intera popolazione sono: Istruzione, Sanità, Giustizia, Energia (acqua, gas e rifiuti inclusi).

Ad oggi, i recenti e ripetuti attacchi cyber a vari Enti, confermano, purtroppo, una condizione di vulnerabilità e fragilità delle nostre infrastrutture che, ormai obsolete, non sono più in grado di sostenere il peso della massiccia attività digitale in atto.

E non solo, perché la mancanza di un piano nazionale condiviso, che permetta di allineare le attività basate su dati, tecnologia e dispositivi IoT, e nelle forme più evolute IoE (Internet of everything) ha provocato un abnorme movimento digitale scoordinato e sconnesso, che ha reso facilmente franabile tutta la struttura e che la capacità umana fa grande fatica a controllare perché, se  tutto ciò che è connesso in rete è vulnerabile, lo sarà ancora di più,  se non ben organizzato, assestato e solido.

Ecco perché, in un processo di filiera documentale è necessario prima accertarsi che si abbiano dispositivi esterni idonei a una loro interazione (gli IoT) con il rischio però che l’informazione possa essere manipolata. Si prenda, ad esempio, il settore sanitario che necessita di una quantità enorme di IoT per veicolare i dati, i quali non vengono garantiti dalle aziende che li hanno prodotti e da chi, poi, è addetto al loro corretto utilizzo.

Da ciò deriva l’assoluta necessità preventiva di audit autorevoli e professionali in campo Cyber, con esperti in grado di dare, con competenze specifiche, supporto alla rete e all’infrastruttura.

Una lunga e serissima formazione, studi ed esperienze internazionali, ampliando il più possibile i campi di ricerca, sono la discriminante imprescindibile per non consegnare la sicurezza, sia pubblica che privata, a pseudo esperti che cavalcano la facile onda della moda digitale, causando spesso, come fatti certi hanno dimostrato negli ultimi tempi, danni aumentati alle infrastrutture critiche,  con incremento della vulnerabilità dei dati personali e non, e degli stessi erogatori di servizi.

Oltre le alte competenze dei singoli, per accompagnare il nostro Paese nell’ecosistema digitale, che ben presto sarà habitat naturale, si dovrà agire sinergicamente sia sullo svecchiamento delle IC che sulla nuova realizzazione di molte altre, funzionali ed efficaci, agili ma robuste per sostenere l’intera struttura innovativa.

E ancora non basta perché, senza la capillarizzazione di una informazione/formazione sulle opportunità delle nuove tecnologie, che hanno un’essenziale valenza sociale, senza la comprensione, orizzontalmente in tutto il tessuto sociale, degli strumenti digitali e del loro migliore uso, consapevole e responsabile, ogni sforzo o incentivo al cambiamento sarà vanificato dall’inadeguatezza di un’intera popolazione destabilizzata nelle sue vecchie abitudini e incapace di adottarne delle nuove.

Infatti se, secondo l’indice DESI, che è un parametro di valutazione creato dalla Commissione Europea per misurare il livello dei Paesi UE, in termini di digitalizzazione, competenze da parte della popolazione, utilizzo di Internet, integrazione delle tecnologie nel tessuto sociale, digitalizzazione delle imprese e della PA, connettività, l’Italia risulta essere al primo posto nell’acquisto di strumenti digitali, smartphone in testa, risulta altresì in 25^ posizione rispetto ai 28 Stati membri dell’Unione Europea, davanti a Romania, Grecia e Bulgaria, proprio a dimostrazione che, senza consapevolezza, l’evoluzione digitale è stagnante.

Anche la UE nel PNRR italiano ha preteso che la nostra Nazione allinei il grado di conoscenza tecnologica della sua popolazione ad un target adeguato al suo ruolo in UE, che non può essere, data l’importanza storico/politica, culturale, artistica del Paese equiparata a quella di piccoli Stati.

Pertanto non smetterò mai di insistere sulla nevralgica importanza del concetto di Informazione-formazione sociale, che può essere l’unico motore possibile per muovere il Paese verso la trasformazione digitale.

Una divulgazione e formazione affidata anche qui a professionisti accreditati e autorevoli, eludendo gli squali del marketing, travestiti da santoni digitali, che promettono alte competenze e lauti guadagni in breve tempo, e che offrono rimedi peggiori del danno causato dalla mancata conoscenza del digitale.

La formazione è un percorso lungo, impegnativo e faticoso, che ha necessità del tempo dilatato per l’assimilazione di un nuovo sapere, dato da un Unicuum intrecciato ed indivisibile, di diverse discipline, commiste insieme dal digitale.

Un cambio di rotta e prospettive, una visione d’insieme sulla realtà in trasformazione, che non è vendibile al supermercato del Web, ma richiede estrema serietà, professionalità e preparazione dei formatori, nonché di pratica direttamente sul campo.

E se Blockchain, Intelligenza artificiale e Cybersecurity saranno professione di pochi, la loro conoscenza deve assolutamente essere materia di tutti.

Ciò premesso, tornando al discorso iniziale dei 500 enti preposti ad interagire con i vari dati (quindi con interoperabilità e interrogazione di dati), ritengo che allo stato attuale, l’Italia non sia ancora pronta a questo straordinario salto, anche se è ciò che io auspico da tanto tempo.
Sarebbe infatti un salto nel vuoto o un boomerang che investe in pieno il singolo e le fasce più deboli, ma anche enti ed aziende impreparate a gestire correttamente una valanga di dati, e neanche supportate da infrastrutture critiche (IC) adeguate.

Forse, prima di lanciare il boomerang, si dovrebbe ascoltare il parere degli esperti, di tecnici che sappiano valutare distanze e traiettorie e, magari, trattenere la mano di chi sta scagliando contro il nostro Paese uno strumento che può fare molto male, piuttosto che essere di beneficio.

In questa partita non più procrastinabile è il ruolo fondamentale dell’Agenzia per la Cybersicurezza nazionale (ACN), atta a reclutare con competenza e logica profili validi, oltre le skills, per profili alti e testati, e non per titoli, magari mai utilizzati in questo nevralgico settore.

Auspico che i vertici politici riflettano molto sul da farsi, per una garanzia di GOVERNANCE nazionale e soprattutto di tutela per la comunità e tessuto sociale, che merita una transazione, organizzata e a lungo raggio, verso il #buonfuturo per #tutti

*Full Stack & Blockchain Developer, esperto Blockchain, riconosciuto tra i 10 Top Influencer Blockchain Developer per MondoCrypto. E’ conosciuto da questo mondo come il “purista della Blockchain”

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