Russia, tra gli zar e Lenin. Viaggio nella Mosca che ha fatto i conti con il suo passato

Di Marco Petrelli

Mosca. I russi non amano parlare di politica e, generalmente, se l’argomento di una chiacchierata cade su Putin l’interlocutore si zittisce un attimo, per poi cambiare discorso. Sì, perché malgrado Mosca sia il centro della politica, i suoi cittadini hanno mantenuto la consuetudine, sovietica, di non esternare troppo le opinioni personali.

Il Presidente russo, Putin per molti la forza politica di una Nazione

Città del buisness e delle opportunità sia per gli imprenditori stranieri, sia per i popoli dell’ex Urss che vi si riversano in cerca di fortuna, la capitale conserva tante altre consuetudini del passato, da quelle che qualunque turista può notare (il tovarich dato confidenzialmente e il farsi pagare per un passaggio in auto), a dettagli che richiedono più attenzione e maggiore conoscenza della storia russa.

Il ruolo dei siberiani, ad esempio, che nell’Armata era quello di fanteria di prima linea e, ora, quello di manodopera per i lavori più duri in alberghi e nei locali; o, ancora, gli antichi edifici di culto ristrutturati con elementi moderni, talvolta in palese contrasto con lo stile originale. Poca attenzione ai beni culturali? No, semmai il desiderio di preservare un passato del quale i russi sono molto gelosi e che inizia con la costruzione dell’impero sotto gli zar, arrivando alla seconda metà del Novecento, quando l’Unione Sovietica posiziona il paese sullo scacchiere internazionale.

La Rivoluzione d’Ottobre è una tessera importante della nostra identità, così come significativa è la figura di Alessandro II, colui il quale liberò i contadini dalla servitù della gleba. Certo, la tragica fine di Nicola II Romanov e della sua famiglia pesa ed è ancora difficile da accettare”, spiega Marina, giovane giornalista che accompagna la delegazione di colleghi esteri ospiti di It’s time for Moscow, annuale incontro con la stampa internazionale promosso dal Governo di Mosca. E l’edizione di quest’anno dedica un’intera giornata alla conoscenza dell’arte e della tradizione locali.

Il leader bolscevico Lenin in un comizio

The Moscow Times (TMT), settimanale in inglese, in “De-Stalinizations: Russian Take Control of Reconciliation” annuncia il caso del momento: le polemiche seguite alla pubblicazione dei nomi di 40 mila agenti della polizia segreta da parte dell’Associazione umanitaria Memorial e le ricerche dello storico Denis Karagodin. Rivelazioni che gli opinionisti della TV di Stato Russia – 24 TV hanno definito come “tentativo di abbattere lo Stato russo”. Repliche al vetriolo a parte, il giudizio della gente comune su 70 anni di socialismo reale è molto eterogeneo, come dimostra un’indagine condotta dall’Istituto statistico Levada Center nel dicembre 2015. Su un campione di 1.600 russi sopra i 18 anni, intervistati in 137 città della Federazione, il 34% si è espresso positivamente su Stalin. Dati che, confrontati con quelli raccolti nel 1998, 1999 e a metà degli anni 2000, palesano un incremento di coloro i quali sono convinti che il dittatore georgiano sia stato artefice della trasformazione, in potenza militare e politica, del loro paese. Ritorno di fiamma dello stalinismo? No di certo: dalla medesima ricerca emerge, infatti, anche un giudizio duro sui metodi brutali del leader sovietico a loro volta, tuttavia, contestualizzati al periodo storico e alla situazione nella quale Stalin si trovò ad operare.

Il dittatore comunista Stalin ha ancora dei sostenitori in Russia

Che la Storia sovietica sia ancora un punto di riferimento importante per la Russia del 2017, lo conferma anche la vivace polemica seguita all’uscita nelle sale di Panfilov’s 28, pellicola che celebra la resistenza del generale della 316^ Divisione fucilieri e dei suoi 28 eroi sotto le mura di Mosca all’assalto dei tank dell’11° Panzer.

Malgrado i 460 mila dollari versati dal suo Ministero per co-finanziare la pellicola (altri fondi sono arrivati dal Ministero della Cultura del Kazakhstan), il ministro Vladimir Medinsky non ha mancato di sottolineare che i successi dell’Armata siano stati gonfiati nel corso del conflitto: secondo gli archivi russi, infatti, Panfilov poteva in realtà contare su 10 mila soldati (per la maggior parte kazaki). Tuttavia, lo stesso Medinsky ha aggiunto che “anche se Panfilov non fosse mai esisito, è una leggenda sacra che la gente non deve toccare”.

Propaganda e verità, cristianesimo e ateismo di stato, monarchia assoluta e repubblica socialista: concetti molto distanti per gli occidentali. In realtà, un unicum di identità e valori per i russi che trovano nelle figure e negli eventi del passato la forza motrice per tenere insieme un Paese molto vasto e anche molto diverso, come il volto di una Mosca che cambia di strada in strada, nel traffico caotico di costose auto di grossa cilindrata e di vecchie e fumanti Ziguli, fra le svettanti strutture d’epoca staliniana che si alternano alle case popolari d’epoca Breshnev.

Le cartoline della parata sulla Piazza Rossa, l’inno nazionale mutuato da un testo del 1944, i ritratti di Stalin e di Lenin in vendita nei negozi di souvenir, l’attenzione e la cura mostrate nel conservare le vecchie statue sovietiche, il continuare a tramandare vicende che sanno più di leggenda che di realtà sono solo alcuni degli elementi che palesano una continuità con la storia precedente, un filo d’Arianna che né il 1991, né la Presidenza El’cin sono riusciti a recidere anzi, proprio il ricordo del caos e delle insicurezze che seguirono il dissolvimento dell’URSS è stato motivo di un recupero delle tradizioni gloriose di un popolo desideroso di riconquistare stabilità, prosperità e il suo spazio sulla scena internazionale.

Concetti e dinamiche difficili da comprendere per noi occidentali, perché abituati da tempo ad un sistema democratico al quale i russi si sono affacciati, per la prima volta, in tempi recenti e sotto la guida di un presidente che riveste un ruolo che non ha omologhi nella vicina Unione Europea.

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