Kazakhstan: Putin desidera ricostituire il vecchio Patto di Varsavia mentre il regime locale inasprisce duramente le misure d’ordine pubblico. Sorprende l’assenza della Cina.

Di Pierpaolo Piras

Nur-Sultan. Quanto sta accadendo in Kazakhstan negli ultimi mesi si presta a diverse interpretazioni di natura geopolitica.

Per ora non v’è dubbio che per la Russia si è creata una rilevante possibilità di ripristinare il controllo – per certi versi anche politico – delle regioni (una volta denominate repubbliche) perdute contestualmente allo scioglimento dell’Unione Sovietica, avvenuto nel 1991.

Alla base degli ultimi avvenimenti, vige la mistificazione dei disordini avvenuti a Nur-Sultan, capitale del Kazakhstan, e in altre popolose città del paese, interpretati pretestuosamente da Mosca come un tentativo esercitato dall’Occidente di promuovere una “rivoluzione colorata” ad effetto destabilizzante sul legittimo governo kazako.

Truppe russe arrivano in Kazakhstan

L’assenza della Cina

Sotto un altro profilo, si osserva il sorprendente astensionismo geostrategico della Repubblica Popolare Cinese, in quella parte così geopoliticamente decisiva dell’Asia centrale.

Dopo un ventennio di crescita economica ininterrotta e l’attivazione di un nuovo percorso ferroviario transcontinentale, passante anche per il Kazakistan, la Cina è riuscita a creare un ulteriore collegamento commerciale – stavolta via terra – con l’Europa, nell’ambito del progetto strategico della odierna “via della seta”, più nota come Belt and Road Initiative (BRI).

Nonostante i cospicui investimenti cinesi in Kazakhstan, Pechino si è comportata finora da spettatore freddo ed inerme anche di fronte al dispiegamento di consistenti truppe russe al confine e poi penetrate all’interno del  Kazakhstan.

Campi petroliferi del Kazakhstan. Le risorse del Paese sono giudicate molto importanti da vari attori internazionali

Tale atto militare viene legittimato da Mosca come una doverosa operazione prevista ed avvenuta in obbedienza ai dettami dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettivo  (CSTO), intesa a difendere il ruolo e la legittimità del presidente kazako, Kassim Jomart Tokayev.

Il CSTO è un’alleanza politico-militare creata il 15 maggio 1992 da sei nazioni: Armenia, Kazakhstan, Bielorussia, Kirghizistan, Russia, Tagikistan, e la Serbia come osservatore.

Nonostante il Kazakistan sia un paese abbastanza sconosciuto nel resto del mondo, i disordini accaduti al suo interno hanno suscitato oggi una notevole eco nella stampa internazionale.

La storia recente dei tumulti

I tumulti sono iniziati in primo luogo nella parte più ricca e produttiva dell’occidente kazako. Nella città di Altana , centro dell’attività estrattiva petrolifera, gli edifici amministrativi e più rappresentativi sono stati espugnati e devastati dalla popolazione inferocita contro un regime divenuto ormai autoritario.

A fronte della sicurezza di Tokayev messa a repentaglio, il regime reagisce emanando un rigido coprifuoco con le forze di polizia che aprono il fuoco ad altezza d’uomo sui manifestanti.

Polizia Kazaka in azione

Nella storia dell’umanità è più volte accaduto che maggiore è il potere detenuto da un solo individuo, più incerta e traballante diventa la transizione verso un suo successore.

La stessa progressione di eventi sta accadendo in Kazakhstan dove viene applicata la politica estera del nuovo imperialismo russo, voluta e rappresentata da Vladimir Putin , Presidente della Repubblica della Russia.

Egli, infatti, sta utilizzando le proprie forze armate per affermare il ruolo strategico egemone della Russia in Kazakhstan, sostenendo il potere del leader locale, Tokayev.

Analogamente, si potrebbe prefigurare lo stesso svolgimento di eventi anche in occasione della futura successione di Putin o per l’avvicendamento di Xi Jinping per la Cina.

È qui che l’istituto monarchico ha la più grande somiglianza con la politica moderna in alcuni Stati.

E’ sufficiente sostituire i clan politici – che oggi affollano sempre più i parlamenti nazionali – alle linee di sangue dinastico per iniziare a immaginare come periodi di grande instabilità possano susseguirsi in avvicendamento alla leadership di uomini “forti”.

L’esempio più vicino è proprio quello di Nur-Sultan Nazarbayev, già leader di lunga data del Kazakhstan, che si è dimesso dalla carica presidenziale nel 2019, quando la sua autorità non era ancora scalfita.

L’ex Presidente kazako Nazarbayev

Ma con un’ambizione: quella di nominare al suo posto una persona di sua fiducia e continuare a governare il Kazakhstan stando dietro del quinte del potere.

Tuttavia, come si è visto in questi giorni, al primo grande segno di difficoltà nel paese da quando si è dimesso – innescato dalla rabbia popolare per un improvviso aumento, fino al raddoppio, dei prezzi della benzina – questo accordo “strategico” si è disfatto nella violenza, con i piani di Nazarbayev (ben strutturati solo sulla carta) finiti esattamente nel nulla.

Il potere concentrato in un individuo mina direttamente le istituzioni, mentre è proprio la salute delle istituzioni – e non la personalità di qualche dittatore ultimo arrivato – su cui si basano il sistema politico e la stabilità di un florido regime democratico.

Nulla di nuovo sotto il sole , direbbe qualcuno; anche in Russia è accaduto qualcosa di simile con Putin, che al termine del suo secondo ed ultimo (secondo la norma costituzionale) mandato presidenziale, per poter mantenere la sua carica, ha presto modificato il dettato previsto dalla Costituzione russa a suo favore come leader a tempo indeterminato.

Anche qui rimane l’interrogativo: che ne sarà del potere da lui creato una volta che se ne sarà andato?

Una risposta plausibile è che tutto il sistema da lui creato vacillerà e poi crollerà minando pericolosamente la stabilità interna.

Ma, si sa come sono i dittatori, quelli che sopprimono gli oppositori a pistolettate o con l’iniezione di veleno, oggigiorno apostrofati eufemisticamente come “uomini forti”, sconfinatamente presuntuosi.

Polizia Kazakha impegnanta nelle repressioni

Gli stessi sono convinti che il loro sistema sia eterno e che essi stessi siano una totale eccezione al fallimentare e talvolta tragico esempio proveniente dalla storia.

Personaggi che non mancano a questo esempio del mondo sono: Manuel Noriega di Panama, Duvaliers di Haiti, lo Scià dell’Iran, Ferdinand Marcos delle Filippine e così via.

Le lezioni del Kazakhstan si applicano ad alcuni stati nel mondo di oggi, luoghi la cui politica è diversificata secondo i costumi locali, ma che condividono tre caratteristiche fondamentali: l’impulso irresistibile verso l’egocentrismo e la pervicace volontà di accentrare l’autorità statale nelle mani di una sola persona. In tertiis, uniscono l’avversione verso i meccanismi legali e trasparenti della successione al potere politico seguendo le procedure previste dalla Legge.

La Cina, dove Xi Jinping ha annullato il sistema di successione informale del paese tanto quanto Putin della Russia, è un posto ovvio a cui prestare attenzione per le eventuali conseguenze future.

Ci sono sempre state persone pronte a lodare l’autoritarismo nella pratica politica, appoggiandosi intellettualmente alla base non traballante della quale – secondo gli stessi –  non soffre rispetto alla presunta inefficienza e  lentezza del sistema democratico.

Piaccia o no, secondo questa corrente (non solo) di pensiero solo gli uomini forti e i loro regimi autoritari possono fare le cose.

Tuttavia tale posizione sarebbe del tutto più convincente se accompagnassero questa convinzione accompagnandola da una lunga lista di leader i cui risultati hanno resistito alla prova del tempo.

Ciò che è tuttora visibile, invece, sono le vittime e macerie che lasciano dietro di sé mentre se ne vanno.

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