Carabinieri: operazione contro la ‘ndrangheta nel Vibonese. Arrestato il latitante Gregorio Giofrè

Vibo Valentia. Operazione contro la ‘ndrangheta, la notte scorsa, nel Vibonese.

Operazione anti mafia nel Vibonese

I Carabinieri del ROS, del Comando Provinciale di Vibo Valentia e dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Calabria, ccoordinati dalla Procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro, sono entrati in una casa rurale nelle campagne di contrada Batia, di San Gregorio d’Ippona, arrestando il latitante Gregorio Giofrè.

L’abitazione in cui si era nascosto il latitante è di proprietà di una persona ritenuta vicino alla cosca sangregorese ed era munita di un complesso dispositivo di video-sorveglianza.

L’uomo era ricercato dal 19 dicembre 2019, a seguito dell’ordinanza cautelare emessa dal GIP di Catanzaro, nell’ambito dell’operazione “Rinascita- Scott”, condotta dal ROS e dal Comando Provinciale Carabinieri di Vibo Valentia e coordinata dalla Procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro che ha coinvolto le maggiori cosche di ‘ndrangheta del Vibonese.

L’operazione dei militari dell’Arma ha consentito di dare un duro colpo alle ‘ndrine del Vibonese

Secondo le indagini che hanno portato al provvedimento custodiale nei confronti di 334 persone, ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, omicidio, traffico di stupefacenti, estorsione, riciclaggio ed altri gravi reati, il Giofrè sarebbe un’esponente apicale della locale di San Gregorio d’Ippona, imparentato con Rosario Flarè, considerato uno storico capo locale, attualmente in regime di detenzione domiciliare.

Dopo la cattura di altri due uomini considerati legati a lui, avvenuta il 19 dicembre scorso, Giofrè era rimasto il più importante esponente della struttura mafiosa in libertà.

Le inchieste hanno evidenziato come la locale di San Gregorio d’Ippona, sin dagli anni ’80, sia stata fedele ai Mancuso di Limbadi ed i suoi più influenti appartenenti sono stati centrali per consentire ai Mancuso stessi la gestione unitaria della ‘ndrangheta vibonese.

Secondo l’ipotesi accusatoria, avvalorata anche dalle dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia, il Giofrè, indagato per associazione mafiosa ed una serie di condotte estorsive, aggravate dal metodo mafioso, aveva il compito di organizzare la riscossione delle estorsioni agli imprenditori secondo un sistema centralizzato, valido per tutta la provincia.

Il sistema consentiva alla cosca di competenza l’ottenimento della messa a posto, normalmente ammontante al 3% del valore dei lavori, con il conseguente fiore non solo per la locale competente nel luogo in cui il lavoro veniva eseguito, ma anche per quella di competenza del luogo di provenienza dell’imprenditore, secondo dinamiche che consentivano l’alimentazione di una bacinella comune.

Per l’accusa Giofrè costituiva, nel settore, anche il punto di riferimento ultimo per le interlocuzioni con esponenti delle cosche della ‘ndrangheta di diverse province che conoscevano il suo ruolo e gestivano l’azione estorsiva secondo un modello che conferma l’unitarietà dell’organizzazione mafiosa calabrese, non solo dal punto di vista formale ma anche sostanziale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

Autore