Marina Militare: la storia del glorioso rimorchiatore “Licosa” costruito in Germania. Operò dalla Grande Guerra fino al 1° ottobre 1975, data della sua radiazione

Di Gerardo Severino*

CASTELLABATE (SALERNO) – nostro servizio particolare. Licosa, isola e punta sita lungo la costa cilentana, ma soprattutto località geografica che da termine, a Sud, al periglioso Golfo di Salerno, è oggi nota al grande pubblico per le sue bellezze naturali, nell’ambito del celebre Parco Marino di Santa Maria di Castellabate, nonché dell’ancora più famoso Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano.

Ma Licosa è famosa anche e soprattutto per la sua incredibile storia, ultramillenaria, la quale, grazie ad un legame mai interrotto parte dall’era classica, dal tempo dei Greci per giungere  alla “Guerra del Vespro”, dalle invasioni saracene sino alle tragedie del Novecento, volendo ricordare, in ultimo, il sacrificio del Regio Sommergibile “Velella”, del quale abbiano trattato proprio su Report Difesa ( http://(https://www.reportdifesa.it/affondamento-sommergibile-valella-domenica-la-commemorazione-del-74-anniversario/)  in occasione del suo sacrificio, avvenuto il 7 settembre del 1943, proprio a largo di Punta Licosa.

Il rimorchiatore Farge in servizio durante la Grande Guerra

Ebbene, al nome di Licosa è legata anche la storia di una modesta unità della Regia Marina da guerra italiana, il “Rimorchiatore Licosa”, la cui esperienza bellica ebbe fine negli stessi giorni dell’armistizio, anche se in realtà, il mezzo nautico avrebbe continuato la sua “missione militare”, praticamente sino alla sua radiazione.

Quella che segue è la storia di una nave che navigò a lungo, ma anche la storia di uomini che l’armarono e la pilotarono per vari mari, al servizio di due Paesi, ma soprattutto della sicurezza in mare, in generale.

Da Brandeburgo a Fiumicino (1912 – 1936)

La vicenda storica del Regio rimorchiatore “Licosa” ebbe origine nel lontano 1912, allorquando, presso i celebri Cantieri navali “Gebr – Wieman”, sorti nel 1867 a Brandeburgo an der Havel, in Germania, veniva “impostato” (leggasi costruito) un modesto mercantile, con un dislocamento pari a 108 tonnellate ed una lunghezza di metri 23, 9, con caldaia cilindrica Melzer (macchina compound da 330 hp), ad un’elica, al quale fu dato il nome di “Farge”, un villaggio nei pressi di Brema.

Il futuro rimorchiatore era stato commissionato dalla “Schleppschiffahrts- Ges Unterweser” [1], di Brema, presso il cui grande porto fluviale [2] operò per qualche decennio, dopo aver preso anche parte alla “Grande Guerra”, essendo stato requisito dalla Marina Imperiale.

Non abbiamo assolutamente idea di chi sia stato l’armatore negli anni seguenti, almeno sino al 1933, allorquando, da ex “rimorchiatore da pesca” (quale era stato, nel frattempo classificato) lo troviamo tra i natanti della neo costituita Società “F.L.U.M.A.R. – Traffici Marittimi e Fluviali S.A.”, con sede inizialmente a Roma (Via Umbria, 7, poi Via della Mercede, 12) e in seguito a Fiumicino, Palazzo Noccioli.

La F.L.U.M.A.R.” aveva come ragione sociale “l’esercizio dei traffici marittimi e fluviali, armamenti e noleggi, trasporti e rimorchi, imbarchi e sbarchi, agenzie marittime e recuperi”.

Ebbene, fu proprio in quel contesto storico che il mercantile fu ribattezzato col nome di “Ernesto”, in onore dell’Amministratore Delegato della Società, Cav. Dott. Ernesto Chellini [3]. Con il passaggio di proprietà, il glorioso rimorchiatore tedesco mutò incarico, essendo adibito al traffico di cabotaggio, più precisamente al trasporto del carbone fossile da Civitavecchia a Fiumicino [4].

L’”Ernesto” svolse, quindi, il suo mestiere sino al 1936, allorquando fu acquistato dalla Regia Marina, per adibirlo di nuovo al servizio di rimorchiatore.

Il porto di Civitavecchia in una cartolina del 1935 (Collezione dell’autore)

Fu, quindi, con il Regio decreto n. 1663 del 18 maggio dello stesso anno che il rimorchiatore di fabbricazione tedesca fu iscritto nel “Quadro del Naviglio da Guerra dello Stato, fra le navi di uso locale”, assumendo il nome di “Licosa”, a far data dal 3 aprile dello stesso 1936 [5].

Il perché fu chiamato “Licosa” rimane tuttora un mistero, pur ricordando che in quel contesto storico, a Roma, tra i fedelissimi del Duce vi era Andrea Ippolito (che a novembre assumerà l’incarico di Federale dell’Urbe), genero del Senatore Andrea Matarazzo e, quindi, marito di Donna Virginia Matarazzo, nipote del Conte Francesco Matarazzo della Licosa [6].

In realtà già prima del 1930, la Regia Marina aveva avuto, tra le sue navi sussidiarie un rimorchiatore con tale nome, anche se non siamo riusciti ad acquisire ulteriori elementi, tranne un riferimento, tra i cosiddetti “Nomi Esistiti”, per l’appunto alla data del 1930 [7].

Il Regio rimorchiatore Licosa al servizio della Regia Marina (1936 – 1943)

Nel giugno del 1940, con l’entrata in guerra dell’Italia, il Regio Rimorchiatore “Licosa” fu mobilitato e, quindi, inizialmente dislocato a Durazzo, in Albania, con le mansioni di rimorchiatore ad uso locale.

Gli verrà affidato il segnale distintivo IALX [8].

Molto preziosa si rivelò la sua opera già nei primi mesi di guerra, tant’è vero che il suo nome compare nel rapporto stilato il 6 dicembre 1940 dal 2° Ufficiale della Regia Torpediniera “Fabrizi”, che operava in Adriatico per il servizio di scorta ai convogli, colpita in quei giorni dal nemico.

Durante i sommari lavori di riparazione, la “Fabrizi” fu assistita proprio dal rimorchiatore “Licosa”, grazie al quale fu possibile  esaurire l’acqua entrata dalle falle [9].

Successivamente, il natante fu trasferito al “Gruppo Dragaggio” del porto di Nettunia (città nata dalla fusione di Anzio e Nettuno, in provincia di Roma) ove rimase sino alla proclamazione dell’armistizio, adibito soprattutto al dragaggio antimine e al “Servizio Antisom” [10].

Requisito dai tedeschi dopo il 9 settembre 1943, il “Licosa” fu utilizzato dalla stessa Marina tedesca, che evidentemente se ne servì durante la lenta ritirata verso il Nord Italia, per poi impiegarlo nel porto di Genova, ove lo stesso rimorchiatore fu trovato, inefficiente ma per fortuna ancora a galla, dopo la liberazione dell’aprile 1945.

 

Il Licosa in navigazione nel poreto di La Spezia – 1966. Tratto da https.www.naviearmatori.netitafoto-233914-4.html

Gli ultimi anni d’attività (1945 – 1975)

Opportunamente restaurato, il rimorchiatore “Licosa” rimase in uso alla Marina Militare italiana [11], che lo confermò per qualche tempo alla sede di Genova, nella classe dei “Rimorchiatori Grandi”.

Nei primi anni Sessanta lo troviamo, invece, in servizio a “Maridepo La Spezia”, ancorato presso una delle banchine della celebre Caserma Giovannini all’Arsenale, storica sede del Comando delle “Forze di Guerra di Mine”, adibito, quindi, a posa/recupero mine, ovvero al servizio di dragaggio.

Al “Comando Forze di Contro Misure Mine (CMM)” – è doveroso ricordarlo – erano state assegnate missioni gravose e soprattutto molto pericolose, le quali richiedevano soprattutto grandi capacità marinaresche.

L’equipaggio del Licosa in servizio presso il Gruppo Dragaggio di Nettuno (collezione dell’autore)

Ci riferiamo, in particolare, alla grande bonifica subentrata nel Secondo dopoguerra e le missioni, effettuate dai rimorchiatori e dai dragamine in ausilio ai “Nuclei SDAI – Sminamento Difesa Antimezzi Insidiosi” (dei quali Report Difesa si è più volte occupata nei suoi articoli precdenti) in tutti i mari italiani, compreso quel Golfo di Salerno cui il rimorchiatore era intimamente legato [12].

Gli operatori dello SDAI in attività, oggi

A La Spezia, il “Licosa” sarebbe rimasto sino all’epilogo dei suoi giorni [13].

Il “Rimorchiatore Licosa” servì la Forza Armata, nell’ambito del “Naviglio Ausiliario di Uso Locale”, sino al fatidico 1° ottobre 1975, data della sua radiazione.

Ciò avveniva per effetto del D.P.R. n. 105885 del 13 ottobre 1975, un provvedimento come tanti che, senza volerlo, metteva fine ad una storia veramente affascinante durata ben 63 anni: una storia che aveva visto l’imbarcazione mutare ben tre nomi, servendo due diversi Paesi e ospitando a bordo varie generazioni di marinai, grazie ai quali erano stati “ripuliti” i mari d’Italia da ordigni micidiali, che tante tragedie avrebbero potuto causare.

Sarebbe stato molto più utile conservarlo intatto, per poterlo, poi, esporre  in un moderno Museo del mare, testimone indelebile dell’ingegno umano, ma anche di straordinarie e rischiosissime avventure.

NOTE

[1] La “Unterweser Reederei GmbH (URAG)” era stata fondata a Brema nel 1890 come Compagnia di rimorchiatori Unterweser (SGUW) e ribattezzata “Unterweser Reederei Aktiengesellschaft”, nel 1922.

[2] Brema è situata sulle rive della Weser a circa 60 km dalla foce nel Mare del Nord.

[3] Il rimorchiatore fu iscritto al n. 6855 del “Registro Italiano Navale ed Aeronautico”, edizione 1935, p. 113.

[4] Cfr. “Ferrovie, tranvie, funicolari, filovie, ascensori pubblici, navigazione interna”, in Confederazione Fascista degli Industriali – Unione Provinciale di Roma, Annuario Industriale di Roma e del Lazio, Roma, Tipografia del Senato Dr. Giovanni Bardi, 1938, p. 570.

[5] Cfr. “Naviglio dello Stato”, in Annuario Ufficiale delle Forze Armate del Regno d’Italia – Regia Marina – 1937, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1927, p. 480.

[6] Sull’argomento vedasi Gennaro Malzone – Gerardo Severino, Andrea Ippolito. Il federale. Storia di un italiano (Castellabate, 1903 – San Paolo del Brasile, 1992), Santa Maria di Castellabate, Digitalpress, 2019.

[7] Cfr. “Rimorchiatori – Nomi Esistiti”, in Ufficio del Capo di Stato Maggiore della R. Marina, Onomastica Navale. Studio di massima per l’assegnazione dei nomi alle unità della nostra Marina militare, Roma, Stato Maggiore R. Marina, 1931, p. 47.

[8] Cfr. Ministero della Marina, Lista delle Navi Italiane con i segnali distintivi loro assegnati, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1940, p. 190.

[9] Cfr. Cristiano Peluso, La torpediniera Nicola Fabrizi in Adriatico e la scorta dei convogli per la Grecia, in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare –  giugno 2012, p. 65.

[10] Cfr. Ufficio Storico Marina Militare, Navi Militari Perdute, Vol. II, Roma, 1975.

[11] A norma del “Trattato di pace con gli Stati Uniti” (firmato a Parigi il 10 febbraio 1947 ed entrato in vigore il 16 settembre 1947), vgs. Allegato XII. Art. 56, “Elenco delle navi che l’Italia potrà conservare”, p. 476.

[12] Ricordiamo che il 4 settembre 1943, a quattro giorni della proclamazione dell’Armistizio, il cacciatorpediniere “Vivaldi” aveva posato uno sbarramento antisbarco composto da 96 mine (tutte tedesche, da 40 kg) proprio nel Golfo di Salerno, a nord di Punta Licosa.

[13] Cfr. Giorgio Giorgerini, Augusto Nani, Almanacco Navale 1962 – 63, Roma, Edizione Rivista Marittima, 1962, p. 32.

*Colonnello (Ausiliaria) della Guardia di Finanza- Storico Militare

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