E’ VERO CHE LA PUBBLICITA’ È L’ANIMA DEL COMMERCIO, MA NON PER UNA CARRIERA

Su “Politico”(1), Elisabeth Braw ha, di recente, articolato un insieme di pensieri volti ad esaltare il mondo militare italiano, definendo l’Italia come uno dei military maestros d’Europa. La giornalista sottolinea che nonostante la nostra Nazione dedichi solo l’1,1% circa del PIL alla Difesa, è grazie a essa ed al suo impegno globale per l’Europa, che purtroppo non ha modo in ambito NATO di essere quantificato, che l’Italia merita attenzione e rispetto. Ma perché passa dall’Europa alla NATO? Rimando una mia idea a dopo.

Andiamo avanti. La Braw, per dare solidità alle sue considerazioni, chiama in causa Stefano Stefanini, ex ambasciatore italiano presso la NATO. Strana coincidenza davvero, visto che entrambi hanno bazzicato l’ambito NATO ed entrambi mi risultano avere a che fare con l’Atlantic Council, un Think Tank americano con sede a Washigton. Lo Stefanini, leggo, risulta anche essere Scientific Advisor presso l’ISPI, dopo essere stato consigliere diplomatico di Giorgio Napolitano e persino vice presidente di OTO Melara.

Il ruolo di Stefanini e della Braw in Atlantic Council

Mi viene da sospettare una combine. Tra l’altro, sarebbe stato più normale per una testata come “Politico” parlare con l’attuale ambasciatore, dato l’argomento. Ma perché? Andiamo ancora avanti, prima vediamo di chiarirci i numeri con due calcoli “facili facili”, e mi riferisco al PIL.

L’autrice dell’articolo mette insieme numeri di vario tipo, che qui non ripeto, sempre volti a sottolineare il volume degli impegni nazionali nei vari settori. Non specifica mai, tuttavia, se tutti quegli impegni alla fine consentano alla Nazione di soddisfare il famoso 2% del nostro PIL. E, infatti, non potrebbe farlo.

Del resto, più che i numeri sarebbero importanti i risultati, l’aspetto più qualificante, più importante sotto il profilo politico, a supporto dei nostri interessi. E, sotto questo punto di vista, avrei serissimi dubbi sull’affermazione di un nostro alto ufficiale del Ministero, secondo il quale “We’re stabilizing an entire region”, riferendosi con tutta probabilità all’area del Baltico. Mi pare sin troppo entusiastica. Ma passi!
Miliardo più o miliardo meno, per il 2017, per quanto attiene al bilancio preventivo, parliamo di poco più di 20,2 miliardi di euro. A questi andrebbero aggiunti circa 1,4 miliardi (contando cessioni/forniture di equipaggiamenti o trust fund vari e quanto deriva dal decreto missioni internazionali) che porterebbero il tutto su poco meno di 22 miliardi. Su un PIL che credo sia, al 2016, sui 2260 miliardi. In realtà, in termini di percentuale, per la sola spesa per la Difesa, aggiungere quel 1,4 oppure no, non farebbe una grande differenza, siamo comunque attorno all’1%.

Ma non facciamo gli uomini dello zero virgola, come dice Matteo Renzi. Senza considerare che nel budget c’è una grossa fetta che riguarda i Carabinieri per la funzione sicurezza del territorio. Al tutto, infine andrebbero aggiunti circa 3,5 o 4 miliardi del MISE per lo sviluppo di vari programmi d’acquisizione armamenti.

Pertanto, se ai 22 miliardi di prima sommiamo questi ultimi 4 miliardi arriviamo ad una spesa “militare” sui 26 miliardi, pari a un 1,2% sul PIL nazionale. Pertanto, arrivare ad aggiungere uno 0,8 del PIL per soddisfare Trump non è un gioco! Ma so perfettamente che su questi numeri c’è gente molto abile nel giocarli, movimentando le statistiche a piacimento. Anche se, ove facessimo riferimento al parametro del 20% dell’intera spesa militare, “suggerito” dalla NATO quale spesa per major equipment, questo livello lo avremmo rispettato anche l’anno scorso. Almeno questo! E la brava Elisabeth avrebbe dovuto menzionarlo, avrà avuto suggerimenti incompleti, anche se sarebbe bastato consultare il SIPRI. Sarebbe stato un punto a favore dell’Italia.
Ma di chi, in particolare?
Il fatto strano è che io personalmente non ho memoria che un simile articolo, evidentemente questo rivolto ad una audience americana, sia mai stato scritto quando c’era da nominare una qualsiasi altra figura nell’olimpo della NATO. Può essere che sbagli, infatti, ma quando c’era in ballo il buon Frattini, quale candidato per la poltrona di Segretario Generale dell’Alleanza, non mi pare che nessun giornalista, nemmeno quello più amico di un ex diplomatico italiano, si sia mai arrabattato per partorire un siffatto pezzo che a me dà l’impressione di essere di pura propaganda. Pezzo subito ripreso a livello nazionale con miracoloso tempismo da Rastelli sul Corsera(2), chiamando anche qui in causa un altro pezzo grosso, il Generale Camporini, ora vice presidente dello IAI.
Quindi, siamo a posto, abbiamo l’erudito supporto di due pezzi grossi in affari internazionali. Possiamo stare tranquilli. Inoltre, se lo Stefanini consigliava il Napolitano ai tempi dell’intervento in Libia, possiamo stare veramente tranquilli. Abbiamo delle grosse capacità di pensiero in termini di analisi geopolitiche.
Ma perché, quindi, ora?
L’impressione che ne ho avuta, leggendolo, mi ha generato un sospetto. Il lettore può fare liberamente le proprie valutazioni al riguardo. Io temo che questo quadro altro non sia che l’inizio (e spero anche la fine) di una campagna promozionale in prossimità del rush finale per la designazione, mi pare per il prossimo 16 settembre, del prossimo Chairman del Military Committee della NATO, posizione attualmente occupata da un generale ceco. Una campagna che poteva avvalersi della conoscenza tra i due importanti interlocutori, Stefanini e Braw, ma che doveva fare a meno, credo per ragioni di istituto, del vero ambasciatore italiano presso la NATO. Nel più recente passato l’Italia ha ricoperto la posizione di Chairman con gli ammiragli Venturoni e Di Paola. Quindi, se dobbiamo mandare ora qualcuno degli attuali nostri vertici, è veramente questo il modo di preparargli la strada?
Perché poi un giornale online americano? Perché per ora, a quanto pare, gli americani sembrano gradire altri concorrenti e bisogna ricondurre l’attenzione di Trump su altro personaggio.

Inoltre, il rimbalzo Europa-NATO è importante per rimarcare quanto l’impegno necessario e urgente a livello Europa sia stato determinante per non riuscire da parte nostra a rispettare il famoso 2% del PIL e, inoltre, per mettere in luce le capacità e la determinazione professionali italiane, il cui merito non può che risalire verso l’alto. Quindi, perché l’eco italiana del Corsera? Perché è anche importante far capire agli eventuali “oppositori interni” che c’è almeno un circuito americano che, per vari intrecci, pare apprezzi quanto lo strumento italiano fa e, quindi, apprezza i suoi vertici. Bisogna farlo ora, il tempo stringe.
Se quanto io penso è vero, cioè se è vero il “perché ora”, allora mi chiedo se quanto l’Italia fa sia veramente merito di un solo soggetto. Ma ripeto, proprio solo ora? Sono anni che si va avanti così nel silenzio e con sudore, con immensi sacrifici da parte di chi è chiamato a operare sul terreno, cercando i comandanti di far quadrare i conti del proprio striminzito bilancio e, molto spesso, da parte di moltissimi, operando gravose rinunce familiari.

C’era veramente bisogno proprio ora di rischiare di far apparire il grande e silenzioso sforzo nazionale asservito all’interesse di un singolo? Mi spiace, io credo di no. E se, dico se, questa “campagna” è stata pensata come io temo sia stata, la ritengo non solo vergognosa ma anche offensiva nei confronti degli italiani, inclusi quelli con le stellette. Sbaglio? È possibile, ma è una lettura che mi sono dato. Disposto a cambiare idea, se qualcuno riesce a convincermi che ho preso un abbaglio. Ma la mia lettura merita un veloce ulteriore approfondimento.
Mi hanno insegnato che lo spirito cristiano, su cui la nostra etica si basa, dovrebbe aiutare a sfuggire la ricerca della gloria a tutti i costi, ma dovrebbe spingere gli individui a ricercare e mantenere gelosamente lo spirito di servizio rifuggendo dal fascino perverso delle facili lusinghe e dall’atmosfera venefica dei possibili “yes-men” da cui potremmo essere contornati. Ha scritto John Keegan (3) che “… Diventare generale non fa bene alle persone. Come sa sin troppo bene chiunque conosca dall’interno la società militare, anche gli uomini più ragionevoli diventano pomposi quando hanno delle stelle sulle spalle … anche colonnelli dall’equilibrio mentale perfetto cominciano a pretendere la deferenza dovuta ai diadochi quando il meccanismo della promozione li porta al grado superiore. E la società militare – ultimo modello sopravvissuto delle corti dei capi eroici – asseconda regolarmente le loro fantasie. …”. Con questo intendo dire che sta anche al comandante impedire che determinate azioni poste in essere magari dai propri collaboratori non ledano poi la stessa dignità del suo ruolo, anche laddove, mancando l’uomo, rimanga solo il grado.
Ma, se c’è solo il grado, è certamente cosa facile comandare ma molto più difficile, come ebbe modo di precisare il Generale Shinseki(4), guidare. E la chiave è proprio lì, nell’autorevolezza non solo “nell’essere” ma anche “nell’apparire” indipendente. Livatino(5) docet.

*Generale CA ris

(1) http://www.politico.eu/article/europes‐military‐maestros‐italy‐troops‐mediterranean‐migrants‐libya‐refugees/

(2) http://www.corriere.it/cronache/17_agosto_23/elogio‐stampa‐usa‐militari‐italiani‐poliziotti‐d‐europa‐4cfaf648‐87f9‐11e7‐a960‐ee4515521d95.shtml?refresh_ce‐cp

(3) La Maschera del Comando ‐ Edizione “Il Saggiatore”, pag. 245.

(4) “… You must love those you lead before you can be an effective leader, you can certainly command without that sense of commitment, but you cannot lead without it. And without leadership, command is a hollow experience, a vacuum often filled with mistrust and arrogance

 

(5) http://www.solfano.it/canicatti/Ruolo_Giudice.html

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