Editoria: la storia di “Pupetta Maresca” raccontata nel libro di Philippe Vilain. Un romanzo sulla controversa figura di “Madame Camorra”

Di Flavia De Michetti

ROMA. Assunta Maresca, più conosciuta da tutti come “Pupetta”, visse Napoli degli anni Cinquanta, in un quartiere dove la violenza era all’ordine del giorno.

Era una donna molto affascinante che rimase incinta di Pasquale Simonetti, detto Pascalone ‘e Nola, un camorrista italiano che sposò nell’aprile del ’55.

Testimone di nozze fu Antonio Esposito, detto Totonno ‘e Pomigliano, futuro mandante dell’assassinio del marito.

Pasquale fu ucciso appena tre mesi dopo il matrimonio e Pupetta, ancora incinta e giovanissima, decise di vendicarsi, assassinando, insieme ad altri tre complici, Antonio Esposito.

Per questo reato, “Madame Camorra” finì nel carcere partenopeo di Poggioreale, dove partorì il primo figlio, Paqualino.

Fu condannata a 13 anni e 4 mesi per omicidio (con l’attenuante della provocazione) più l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e venne graziata dopo oltre 10 anni di detenzione.

Il figlio, a causa di alcune faide, fu rapito e ucciso. Il suo corpo non fu mai ritrovato.

Negli anni successivi, Assunta Maresca sposò un altro camorrista: Umberto Ammaturo.

È proprio su questa controversa figura che si concentra il volume scritto da Philippe Vilain, letterato francese, scrittore, saggista, dottore il Lettere moderne all’Università della Sorbonne-Nouvelle, oltre che docente di Letteratura francese all’Università Federico II di Napoli, città alla quale è profondamente legato, e direttore della collana “Narratori francesi contemporanei” di cui quest’opera, “Pupetta”, fa parte.

Report Difesa ha intervistato l’autore Philippe Vilain, che indaga e descrive la figura di Pupetta Maresca, ricostruendone la natura e restituendone quella determinazione e sete di rivalsa che l’hanno resa celebre.

“Pupetta”, di Philippe Vilain

Professor Vilain, in cosa si differenzia “Pupetta” dalle altre opere della collana “Narratori francesi contemporanei”, della quale lei è direttore e scrittore?

Naturalmente apprezzo tutti i libri che ho pubblicato nella collana, che seleziono in base alla qualità della scrittura letteraria e all’interesse della storia.

Ma ciò che cerco, al di là di questi criteri, è il carattere sovversivo e interrogativo della letteratura. Appartengo a una scuola di pensiero che vede in essa uno spazio di libertà e un mezzo per interrogare le nostre coscienze.

Per me la letteratura è, nelle parole di Kafka, Un colpo di scure nel mare ghiacciato che è in noi.

Pupetta è uno dei personaggi che mi permette di proporre una messa in discussione audace e profonda della letteratura, superando la rigida cornice della morale e del manicheismo semplicistico.

Da dove ha origine la sua passione per la città di Napoli e la sua cultura? E quali sono gli aspetti che più la affascinano?

Napoli è la mia città del cuore, la città in cui mi sento a casa, circondato dalla mia gente.

Probabilmente, avendo trascorso la mia infanzia in un ambiente operaio, ritrovo a Napoli i valori umani semplici e forti che mi hanno educato: la solidarietà, la sincerità e la generosità della gente, cioè la forma più bella di umanità.

Non voglio rendere le persone più angeliche di quanto non siano, ma so per esperienza che è proprio in questo ambiente che ho maggiori probabilità di trovare e condividere questi valori. È questo che mi piace di questa città, l’umanità delle persone, la loro semplicità.

Ho viaggiato molto in tutto il mondo, ma non ho trovato questo spirito da nessun’altra parte.

Probabilmente perché, in un certo senso, Napoli non è una città sociale, asettica, pubblicitaria. Una città dove si viene per fare carriera, ma è una città dove ci si stabilisce per godere appieno della vita e del tempo.

Anch’io credo, per tutti questi motivi, che, come diceva Luciano De Crescenzo, in questo momento di iperglobalizzazione culturale, economica e commerciale, Napoli è l’ultima speranza dell’umanità .

Cosa l’ha spinta a ispirarsi in particolare della figura di Pupetta Maresca?

Gli aspetti che mi hanno particolarmente interessato nella figura di Pupetta sono stati, al di là di ogni considerazione morale, da un lato il carattere romantico di Pupetta, il fatto che abbia tutte le caratteristiche di un’eroina romantica (le sue doti fisiche – è una regina di bellezza -, i suoi valori morali – salvare l’onore di un amore).

Non è diversa dalle eroine della tragedia greca, come Antigone, Elettra, Medea, giovani donne ribelli che non hanno paura di sacrificarsi per salvare l’onore di una persona amata e per compiere l’atto d’amore assoluto e incondizionato.

Non considero la sua appartenenza alla Malavita, ma la sua esperienza passionale. Da un altro lato, la seconda cosa che mi interessa è il modo in cui si delinea il suo destino durante il 1954 e il 1955: dal Concorso di bellezza alla prigione, passando per il matrimonio, la vedovanza dopo l’assassinio del marito, la propria vendetta, la nascita del figlio in carcere.

Ha scelto di sacrificare la sua vita, quando avrebbe potuto delegare la sua vendetta pagando un sicario. È una scelta e un destino che non potrebbero essere più romantici.

Quali sono state le maggiori difficoltà che ha incontrato nella stesura di questo romanzo?

Probabilmente il lavoro di documentazione e di recupero delle informazioni, che non erano sempre affidabili.

Molti degli articoli di stampa che riferivano della sua vendetta si contraddicevano sulle date dell’assassinio e persino sulle informazioni relative alla vita di Pupetta.

Ho dovuto distinguere tra ciò che era vero e ciò che non lo era. In un certo senso, molti articoli sembravano già un processo di finzione, di reinvenzione, come se l’unica narrazione possibile per evocare Pupetta fosse il romanzo.

Ci sono altre figure femminili, appartenute alla criminalità organizzata italiana, che ha in programma di ricordare nei suoi prossimi scritti?

No, affatto. Non ho intenzione di scrivere di altre figure femminili o maschili del crimine italiano.

Questo romanzo è stato completamente contestuale. Non è il sistema mafioso che mi interessa, ma soprattutto il gesto d’amore incondizionato di Pupetta, un gesto che fa parte dei miei romanzi, perché tutti loro raccontano una storia d’amore.

Un gesto che mi permette di interrogare la nostra stessa coscienza della giustizia: cosa faremmo se il nostro amore venisse assassinato e le istituzioni del Bene, come è avvenuto in questa vicenda a metà degli anni Cinquanta, fossero corrotte: ci accontenteremmo di lamentarci della nostra sorte o decideremmo di farci giustizia da soli, a rischio di sacrificare parte della nostra vita?

Dal suo punto di vista, quanto è importante la figura femminile all’interno della quotidianità nelle famiglie mafiose?

L’importanza della donna nella vita quotidiana delle famiglie mafiose e popolari si è indubbiamente e notevolmente evoluta, insieme alla società, ma all’epoca, negli anni Cinquanta, le donne avevano meno diritti che doveri e occupavano un ruolo subordinato, non partecipando direttamente alle attività mafiose. Pupetta, ribelle, disobbediente, è la prima camorrista a imporsi in un universo maschile e virile. In un certo senso, incarna una certa affermazione ed emancipazione sociale delle donne, anche se agisce in una comunità che lavora per il male.

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