Guardia di Finanza : a Catania confiscati beni e disponibilità finanziarie per 20 milioni di euro nei confronti di un imprenditore. Condannato per reati finanziari era considerato vicino al clan mafioso dei Mazzei

Di Antonella Casazza

CATANIA. Circa 20 milioni di beni facenti parte di un patrimonio illecitamente accumulato da un soggetto condannato – in via definitiva – per molteplici reati aggravati dalla modalità mafiosa, sono stati sequestrati dai finanzieri del Comando provinciale di Catania che hanno eseguito il citato provvedimento ablativo su disposizione del Tribunale etneo e richiesta della locale Procura distrettuale della Repubblica.

La condanna subita dal preposto, che come specificato sopra è ormai divenuta definitiva, lo ha infatti riconosciuto colpevole dei reati di associazione a delinquere, frode fiscale, sottrazione al pagamento e all’accertamento delle accise, omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali, occultamento e distruzione delle scritture contabili, falsità commessa dal privato in atto pubblico, sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte e autoriciclaggio.

La GDF nel corso delle indagini

Gravi attività criminose dunque, ai quali si aggiunge il fatto di aver agito per agevolare il clan di mafia dei “Carcagnusi” che fa capo al boss Santo Mazzei.

Già nel gennaio 2020 le attività investigative condotte dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Catania e dai Carabinieri del locale Nucleo Investigativo, avevano consentito di trarre in arresto il citato sodale, all’epoca peraltro indagato (unitamente ad altre 22 persone) nell’ambito dell’Operazione antimafia denominata “Vento di Scirocco”.

Secondo gli inquirenti la carriera criminale del condannato si sarebbe avviata nel 2007 sotto l’egida del clan “Sciuto-Tigna”, ma la successiva carcerazione di uno degli esponenti di spicco della citata famiglia lo avrebbe indotto a riparare sotto l’ala protettrice dei Mazzei, i quali si sarebbero avvalsi del suo efficace operato per contrabbandare prodotti petroliferi.

Le stesse indagini condotte dai Reparti dell’Arma e delle Fiamme Gialle avevano inoltre evidenziato come i vertici del clan Mazzei avessero probabilmente instaurato stabili rapporti d’affari con imprenditori operanti nel settore dei depositi e degli impianti di distribuzione di carburante, risultati poi coinvolti in ingenti frodi fiscali.

Un meccanismo nel quale il condannato interveniva lungo tutta la filiera di approvvigionamento dei carburanti, ciò grazie alla propria capacità di condizionamento e di mediazione riconosciutagli anche dalla vicinanza vantata con influenti soggetti di altre organizzazioni criminali attive in diverse zone d’Italia.

A svelare nei dettagli il lucroso schema frodatorio hanno poi provveduto le unità specializzate del Nucleo PEF di Catania, le quali hanno rivelato all’Autorità Giudiziaria inquirente il complesso ma non inedito sistema delle cosiddette “frodi carosello”, che consentiva ai responsabili di evadere l’IVA sulle importazioni e sulla commercializzazione dei prodotti petroliferi realizzando in tal modo illeciti profitti dalle proporzioni multimilionarie.

Una frode realizzata dunque su larga scala e con il fiancheggiamento di numerosi depositi gestiti da soggetti compiacenti, integrati da una fitta rete di “prestanomi” ai quali erano intestate società-fantasma nonché impianti stradali di distribuzione.

Secondo gli stessi investigatori della GDF il gasolio consumato in frode è superiore ai 5 milioni e 700 mila chilogrammi (circa 7.000.000 di litri), il che ha comportato un’evasione di accisa per oltre 4 milioni di euro nonché dell’IVA per altri 2 milioni.

Parallelamente sono poi stati condotti i dovuti accertamenti patrimoniali, che hanno permesso d’individuare e sottoporre a sequestro preventivo il patrimonio direttamente e indirettamente riconducibile al medesimo condannato.

Sulla scorta di un quadro probatorio così completo oltre che dettagliato, il Tribunale penale catanese ha pertanto emesso sentenza (confermata in appello e divenuta irrevocabile) di condanna a 5 anni e 6 mesi di reclusione, nonché la confisca dell’intero patrimonio illecitamente accumulato.

Alla definitiva disponibilità dello Stato sono così finite 5 società commerciali e 2 ditte individuali operanti nel commercio dei prodotti petroliferi, 8 unità immobiliari nonché rapporti finanziari, denaro contante e decine di orologi e preziosi per un valore complessivo di 20 milioni di euro.

Il patrimonio in questione, anche in considerazione della sua rilevanza, verrà ora affidato alla gestione dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC).

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