Mafia: Qui Squadra Mobile Palermo. In strada alla scoperta dei luoghi di Cosa Nostra

Palermo (dal nostro inviato). Qui Squadra Mobile Palermo. Da questo Palazzo, a pochi passi da Porta Nuova, sono iniziate e concluse numerose indagini per mafia. E altre sono in corso.

La sede della Squadra Mobile di Palermo

Nell’androne dell’edificio una targa ricorda i poliziotti uccisi da Cosa Nostra.

La lapide che ricorda i poliziotti Caduti per mano di Cosa Nostra

I loro colleghi, oggi, continuano senza sosta le indagini per assicurare alla Giustizia i mafiosi degli anni ‘2000.

Il primo dirigente Rodolfo Ruperti, con una lunghissima esperienza in varie parti d’Italia nella lotta alla criminalità organizzata, è il capo della Mobile.

Il capo della Squadra Mobile di Palermo, il primo dirigente Rodolfo Ruperti

Nella sua stanza siamo accolti da un gruppo di investigatori che conoscono a menadito ogni piccolo evento che accade nel territorio di loro competenza.

Infatti, la sezione che si occupa di criminalità organizzata è stata suddivisa in modo che ogni mandamento mafioso sia monitorato quotidianamente.

Oggi i mandamenti sono, come nel passato, 15 (8 in città 7 della provincia). Li compongono 81 famiglie mafiose (32 in città e 49 in provincia).

Non esistono dei veri e propri confini che possiamo definire “geografici” ma tutto si regge su equilibri ben stabiliti.

Anche se nel corso dell’operazione “Montagna” (gennaio- giugno 2018), la famiglia di Castronuovo di Sicilia (Palermo) è entrata a fare parte del mandamento di Trabia (Palermo).

E grazie all’operazione “Cupola 2.0” (dicembre 2018) si è scoperto che il mandamento di Misilmeri ha assunto la nuova denominazione di Misilmeri/Belmonte Mezzagno.

Dalle risultanze dei provvedimenti restrittivi collegati all’indagine “Cupola. 2.0”  del dicembre 2018, emergerebbe, inoltre, uno spostamento del baricentro del mandamento di Bagheria verso il territorio di Villabate, tutti in provincia di Palermo.

IL CONTROLLO DEL TERRITORIO

Il controllo del territorio da parte dello Stato costituisce la colonna portante per analizzare, capire e agire contro Cosa Nostra e i suoi contatti.

Questo controllo fa sì che si possa conoscere in anticipo come le cosche, i loro “soldati” si muovono. Ed evitare che le pistole tornino a “parlare”.

Oggi, la mafia sta cercando un nuovo capo. Un nuovo vertice.  La riunione del 29 maggio 2018 è stata considerata per gli investigatori propedeutica ad un rilancio della Commissione provinciale (una sorta di “Governo mafioso”) ma al momento, come evidenzia l’ultimo rapporto della Direzione Investigativa Antimafia nel suo ultimo dossier, sembra difficile che questo possa essere possibile.

E’ vero che stiamo parlando di gruppi criminali. I quali solo per uno sgarro potrebbero ritornare a scontrarsi.

Su tutto questo, come una sorta di “Spada di Damocle” si inserisce il futuro degli scappati (i perdenti della seconda guerra di mafia degli anni ’80) contro i corleonesi che avevano in Riina il capo indiscusso e indiscutibile.

I perdenti però mordono il freno e cercano di riprendere il potere. Ma la Polizia, grazie a questa continua attività di intelligence, riesce a intervenire in tempo. E l’anno scorso furono arrestati i membri delle famiglie Inzerillo, Spatola e Gambino.

Un’operazione della Polizia di Stato contro Cosa Nostra

“Oggi la mafia – spiega il capo della Mobile palermitana, Ruperti – sta cercando di avere un suo vertice. Il nostro lavoro è quello di di cercare di individuare chi , tra i vari mandamenti, possa assumerne il comando (di Cosa Nostra ndr)”.

Il vincolo di sangue sembra non essere più un discrimine per comandare i vari clan. Il “candidato” ideale deve avere carisma, avere passato svariati anni di carcere, avere compiuto vari delitti. Insomma: essere un “duro”.

Così come non esiste più, in molti clan, la classica “punciuta” con la fuoriuscita del sangue dal dito della mano che l’iniziato utilizzerà per sparare, il versare una goccia su un’immagine sacra e giurare su di essa utilizzando queste parole: “Giuro di essere fedele a Cosa Nostra. Possa la mia carne bruciare come questo santino se non manterrò fede al giuramento“.

 

La “punciuta”

Oggi, visti i tempi moderni (?) si utilizzano altri metodi. Oggi esiste la presentazione, pronunciando la frase “lui (ovvero il nuovo entrato) è la stessa cosa” o anche quest’altra “è mio cugino”.

Ma cosa accade ai quei boss che una volta tornano in strada? Gli occhi attenti dei poliziotti li tengono sotto osservazione.

Si sente l’aria del quartiere. In fondo il ritorno a casa è molto atteso dai familiari e dai componenti del gruppo criminale. La pensione non si addice a un mafioso. Anzi potrebbero essere nuovamente soggetti pronti ad agire.

I contrasti all’organizzazione criminale continua. Le estorsioni, i traffici di stupefacenti, con la raffinazione della droga, gli omicidi, le truffe alle assicurazioni sono stati temi di indagine ma anche di scritti sociologici e giornalistici.

Ma oggi la mafia degli anni 2000 è fatta anche di relazioni con quella emergenza nera dei nigeriani. Operano su rette parallele fino a quando non passano il “confine”. I nigeriani spacciano droga e sfruttano la prostituzione, i clan li riforniscono.

“La droga arriva su gomma – evidenzia il dott. Ruperti -. Dalla Calabria la cocaina (ricordiamo che le ‘ndrine hanno ottimo rapporti con i narcos colombiani ndr) e dalla Campania arriva hascisc”.

Alcuni broker campani anche hanno contatti diretti con i colombiani, bypassando di fatto l’intermediazione.

SUI LUOGHI DELLA MAFIA

Quando si legge un libro sulla mafia e non si conoscono i luoghi dove i fatti sono avvenuti è come vedere uno schermo spento.

Percorrere le strade dei quartieri, dei luoghi dove i clan di Cosa Nostra ancora sono presenti significa entrare, nel vivo, dei temi narrati.

Grazie alla grandissima collaborazione con la Squadra Mobile palermitana entriamo in questi luoghi.

Siamo in Via Mogadiscio, nel quartiere di Passo di Rigano. In occasione dell’operazione “New Connection” Tommaso Inzerillo fu arrestato nel luglio 2019.

L’arresto di Tommaso Inzerillo

Era un noto esponente di quei mafiosi scappati negli USA in occasione della seconda guerra di mafia degli anni ’80.

Gli Inzerillo sono accerrimi nemici dei corleonesi di Riina. Sono imparentati con i Gambino che vivono oltre Oceano.

Totò Riina

Grazie all’utilizzo di microspie gli agenti sono riusciti, in un negozio di proprietà della famiglia Inzerillo e vicino alla sua abitazione, a registrare quanto i mafiosi si dicevano in questi incontri.

Incontri ai quali partecipava, secondo le indagini, anche Settimo Mineo.

Dopo la morte di Riina, nel 2018, era stato eletto nuovo capo di Cosa Nostra. Ma la sua “leadership” è durata pochi mesi. A dicembre  tornato in galera nel corso dell’operazione “Cupola 2.0” con l’accusa di essere proprio il nuovo capo della “Cupola” di Cosa Nostra.

A pochi passi dall’abitazione si svolgevano riunioni della famiglia di Passo di Rigano. Il clan lo considerava un posto sicuro, facilmente controllabile dai “soldati” del sodalizio criminale.

Ma l’abilità degli agenti ha fatto sì che fossero piazzate alcune microspie che hanno registrato informazioni sull’omicidio di Frank Calì.

Frank Calì

Francesco Paolo Augusto Calì (più conosciuto come Frank Calì) è stato ucciso il 13 marzo 2019, a colpi d’arma da fuoco sotto la sua abitazione a Staten Island (New York).

Originario della città della Grande Mela, ufficialmente di occupava di import-export di frutta, in verità era considerato un boss della famiglia Gambino.

L’uso delle microspie, come detto, è fondamentale per le indagini di Polizia. E’ un classico lavoro di intelligence.

Gli agenti devono individuare il luogo della riunione, posizionarle bene, al punto giusto e poi aspettare che i mafiosi parlino.

Un minimo errore di tempo ma anche di qualità delle microspie può mandare a monte un’operazione alla quale si è lavorato, spesso, per anni.

In Via Franz Listz (quartiere Uditore) la Polizia ha chiuso  una sala scommesse. che stava per aprire, nelle quote c’erano anche i soldi di mafiosi americani. Grazie all’utilizzo di microspie, anche in questo caso, la Mobile ha sferrato un altro duro colpo alla mafia.

Il gioco è infatti una delle principali fonti di guadagno. Una sorta di ricco bancomat.

Raggiungiamo Piazza Noce. Qui impera un altro clan. Raccontiamo questo episodio per far comprendere ai nostri lettori come la mafia non tralasci nulla pur di fare soldi che servono a mantenere le famiglie dei soggetti in carcere, pagare gli avvocati, magari i viaggi per andare a trovare i detenuti (sono infatti tutti in istituti penitenziari sul Continente) e fare investimenti per aumentare le entrate.

La chiesa del quartiere la Noce, protagonista suo malgrado di una festa patronale finta, voluta dai clan

Nell’area della piazza si doveva tenere una classica festa patronale ma di cui il parroco non sapeva nulla. Erano state chiuse al traffico le strade del quartiere. Tutto era stato organizzato nei minimi dettagli.

I “picciotti” avevano messo su un sistema che in verità serviva per taglieggiare gli ambulanti e i negozianti. Tutti devono pagare! è l’ordine del clan.

La chiesa parrocchiale era chiusa e il parroco che si era opposto alla “festa” era stato minacciato.

Il boss Giovanni Musso che abita nel quartiere è stato invece omaggiato. I partecipanti lo hanno ringraziato varie volte al grido di “Giovanni, Giovanni”.

Sono numerosi i luoghi che la Squadra Mobile nel corso delle sue indagini ha individuato  come punti di summit mafiosi, come ad esempio il negozio di Salvatore Alfano.

In Piazza Principe di Campo Reale, Salvatore Alfano incontrava vari esponenti di Cosa Nostra, tra cui lo stesso Settimo Mineo. Anche qui grazie all’utilizzo di microspie la Polizia è riuscita a ricostruire molte delle attività criminali.

Settimo Mineo e Salvatore Alfano fotografati dalla Polizia

Ultima tappa del nostro viaggio sui luoghi della mafia lo concludiamo a Brancaccio.

Fanno parte del mandamento di Brancaccio le famiglie di Corso dei Mille, di Roccella e Guarnaschelli. Quella di Corso dei Mille è considerata la più importante. Anche la famiglia di Ciaculli fa parte del mandamento di Brancaccio.

La famiglia Tagliavia e quella dei Graviano nel massimo potere di Cosa Nostra (anni ’80) si dividevano qui il business. La prima si occupava del traffico e della raffinazione dell’eroina, la seconda degli appalti in edilizia.

I Tagliavia restano più attaccati al loro territorio, controllando le piazza di spaccio di droga. Nella seconda metà degli anni ’80 inizia un grande affare con i calabresi per la fornitura di cocaina e con i campani per quella di hascisc.

Un omaggio lo rendiamo a Don Pino Puglisi. Il sacerdote fu ucciso il 15 settembre 1993.

Don Pino Puglisi ucciso dalla mafia nel 1993

Il 25 maggio 2013 nel capoluogo siciliano, davanti a una folla di circa 100 mila fedeli, è stato proclamato beato. È stato il primo martire della Chiesa ucciso dalla mafia.

L’omicidio avvenne il 15 settembre 1993, intorno alle 22.45,  davanti al portone della sua casa nella zona Est di Palermo.

Sulla base delle ricostruzioni degli inquirenti, il sacerdote era arrivato a bordo della sua auto. Quando sceso si era avvicinato all’ingresso della sua abitazione e qualcuno lo chiamò. Don Puglisi si voltò, mentre qualcun altro gli scivolò alle spalle e gli esplose un colpo di pistola alla nuca. Una vera e propria esecuzione mafiosa.

La chiesa di Don Puglisi a Brancaccio

Mandanti dell’omicidio furono riconosciuti Filippo e Giuseppe Graviano, arrestati il 26 gennaio 1994.

Giuseppe Graviano venne condannato all’ergastolo. Il fratello Filippo, dopo l’assoluzione in primo grado, venne condannato in appello all’ergastolo .

Stessa condanna emessa dalla Corte d’Assise di Palermo per Gaspare Spatuzza, Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone, gli altri componenti del commando che aspettò sotto casa il prete.

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