Se «effetto serra» fa rima con «guerra». Le conseguenze geopolitiche dei cambiamenti climatici.

Roma. Le cause all’origine dell’attuale emergenza migratoria sono molteplici e tra queste il tema dei cambiamenti climatici merita una particolare attenzione tanto che, secondo il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, è giunta l’ora di creare la definizione di “migranti ambientali”. «Il fenomeno migratorio – come ha affermato Gentiloni, intervenendo lo scorso 13 ottobre alla conferenza organizzata dal Cnr all’Accademia dei Lincei, dal titolo “Clima, agricoltura, migrazioni: risultati scientifici e scenari possibili” – è sempre più legato ai cambiamenti climatici. E se non daremo risposte a tali mutamenti che causano siccità, alluvioni ed eventi estremi, i flussi migratori sono destinati ad aumentare».

Secondo i dati pubblicati nel volume di Grammenos Mastrojeni e Antonello Pasini “Effetto serra. Effetto guerra” (Edizioni Chiarelettere) negli ultimi dieci anni, i disastri naturali hanno colpito 1,7 miliardi di persone e ne hanno uccise 700.000. Dal 2008, inoltre, una media di 26,4 milioni di persone all’anno sono state spinte a migrare da calamità naturali. Disastri naturali che nell’80 per cento dei casi sono collegati ai cambiamenti climatici con perdite economiche pari a circa 100 miliardi di dollari all’anno, una cifra che si prevede raddoppi entro il 2030.

La base su cui lavorare per il presidente del Consiglio, che sul tema delle migrazioni ha invitato a «non abbandonarsi a egoismi e piccoli sovranismi contrapposti», «è l’accordo di Parigi». Un accordo che, per Gentiloni, «deve essere rispettato, premendo anche sui nostri amici americani. E aumentando globalmente gli impegni finanziari per contrastare i cambiamenti climatici in tutto il mondo».

Nel corso del convegno – che ha visto la partecipazione del presidente del Cnr Massimo Inguscio, del presidente dell’Accademia dei Lincei, Alberto Quadrio Curzio, e del direttore generale della Fao, Josè Graziano da Silva – i principali esperti scientifici del settore insieme a esponenti del mondo politico, moderati da Francesco Rutelli, hanno presentato e discusso gli impatti dei cambiamenti climatici sugli agro-ecosistemi e le strategie di contrasto alle sfavorevoli conseguenze socioeconomiche, con particolare riferimento all’ambiente Mediterraneo. Un’occasione per fare un punto, in preparazione della Giornata mondiale dell’alimentazione organizzata per il prossimo 16 ottobre a Roma dalla Fao.

«La fame nel mondo è aumentata lo scorso anno, dopo un decennio di calo. Nel 2016 erano 850 milioni le persone che soffrivano la fame, 30 di più rispetto all’anno precedente – ha affermato Da Silva – e questo è dovuto all’impatto combinato di conflitti e cambiamenti climatici, che hanno ripercussioni sulla produzione alimentare». «A seguito di questi fenomeni – ha proseguito Da Silva – le migrazioni hanno avuto una crescita record. Nel 2015 ci sono stati 64 milioni di rifugiati (il doppio di 10 anni fa), 244 milioni di migranti internazionali (il 40% in più di 15 anni fa), 760 milioni di migranti interni a un paese». Migrazioni che, come ha affermato il direttore generale della Fao, «nella maggior parte dei casi avvengono per disperazione e a causa di condizioni di grande disagio».

Difronte all’innalzamento delle temperature che mette a rischio la salute degli oceani, dei suoli e delle foreste causando l’aumento di malattie e siccità ovunque, Da Silva ha auspicato che l’agricoltura adotti nuove tecnologie per far fronte alle sfide dei prossimi decenni con una «modernizzazione di tutto il sistema del cibo che renda sostenibili la lavorazione, l’imballaggio, il trasporto, la vendita e il consumo degli alimenti».

E sul tema della sostenibilità si è espresso anche il presidente del Consiglio. «Non dimentichiamo mai che la questione dell’utilizzo sostenibile della terra resta cruciale. Puntare su modelli di agricoltura sostenibile è la premessa indispensabile se vogliamo lavorare sulla sicurezza alimentare e se vogliamo contribuire a limitare le spinte migratorie, soprattutto quelle interne, per esempio nel continente africano. Spesso è l’unica alternativa alla povertà», ha affermato Gentiloni, sottolineando l’importanza del «connubio tra l’impegno degli scienziati, dei ricercatori e l’attività della Fao in riferimento al nesso tra sicurezza alimentari, clima e fenomeno migratorio». Tre elementi che, per Gentiloni, costituiscono «un nodo problematico tra i maggiori che attraversano l’attualità internazionale».

«Le crisi alimentari – come ha affermato Francesco Rutelli – sono infatti crisi politiche» e «il loro ritorno non riguarda una crisi legata alla produzione agricola ma piuttosto un’incapacità politica nella gestione delle risorse alimentari». Affermazioni supportate da dati secondo i quali gli sprechi alimentari sono al terzo posto per emissioni globali, dopo la Cina e gli Stati Uniti.

Soprattutto guardando agli scenari futuri un’accurata gestione delle risorse alimentari si presenta, dunque, come una delle principali sfide a cui è chiamata la comunità internazionale. Guardando al 2050 le previsioni ci dicono che dar da mangiare a una popolazione mondiale che, per quella data, avrà raggiunto i 9 miliardi e mezzo di abitanti comporterà un aumento della produzione di cibo del 70 per cento, del fabbisogno di energia del 37 per cento e il 55 per cento in più di acqua consumata. Entro lo stesso orizzonte temporale, secondo le stime della Fao, il cambiamento climatico potrebbe ridurre la produzione agricola fino al 30 per cento in Africa e al 21 per cento in Asia. Per rendere l’idea, già oggi se i cinesi volessero mangiare tutto il pesce che mangiano i giapponesi, o la quantità di carne che mangiano gli americani, non basterebbe la quantità globale di questi alimenti che si produce nel mondo.

Per far fronte, o meglio, prevenire le conseguenze a cui porterà tutto questo è necessario uno sforzo congiunto della comunità internazionale. «Nel dopoguerra il mondo era regolato dall’equilibrio tra due superpotenze. Adesso è cresciuta la responsabilità internazionale» ha affermato Francesco Rutelli. Questa accresciuta responsabilità si accompagna, tuttavia, a una sfiducia crescente nelle organizzazioni multilaterali che stanno perdendo forza. Secondo il viceministro degli Esteri Mario Giro, una soluzione può essere «incentivare la competizione nel bene tra stati». Un fenomeno che può avere risvolti positivi come l’inedita “tendenza green” della Cina innescata dalle dichiarazioni di Trump.

Per Giro le sfide del futuro si giocheranno in Africa e bisogna evitare di commettere gli stessi errori del passato. «Ci sono 200 milioni di ettari liberi da coltivare e questo determinerà una corsa all’Africa», ha affermato Giro sottolineando come, sia necessario «evitare il rischio del land grabbing che rende i paesi schiavi di una monocultura», «contrastare la malaglobalizzazione» e «creare alleanze a livello locale con il settore delle imprese agro-industriali».

L’Italia è in prima linea nello sviluppo del continente africano dove sono impegnate da decenni alcune delle sue maggiori imprese e nel 2016 con 9 miliardi è stata il terzo maggiore investitore in Africa, alle spalle della Cina con 38,4 miliardi e degli Emirati Arabi con 14,9 miliardi. «In Africa occidentale abbiamo investito in cooperazione allo sviluppo con soggetti nuovi», ha affermato Giro. Per il vice ministro tutto sta nell’utilizzare bene i fondi a disposizione: «In Europa vengono destinati complessivamente 40 miliardi l’anno all’ Africa perché si moltiplichino. Ma è sempre una battaglia su come utilizzarli».

Creare le condizioni di stabilità è un impegno importante che la comunità internazionale si deve assumere e tali condizioni passano soprattutto dal clima e dalla sicurezza alimentare. Secondo una ricerca del centro studi tedesco Adelphi, commissionata dal G7, ad oggi, nel mondo sono 79 i conflitti che hanno alla base cause climatiche.

«Soprattutto nella regione del Sahel, vi sono le condizioni per una seconda Libia e a noi interessa che gli stati non falliscano. Quando uno stato fallisce il vuoto viene riempito dai mostri che conosciamo», ha concluso il vice ministro.

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