CARABINIERI: LA “CASERMA DELLA VERGOGNA”. UN TITOLO DA PRIMA PAGINA CHE QUALIFICA CHI LO HA PUBBLICATO

Piacenza. La sgradevole, abnorme, inusuale e straordinaria spettacolarizzazione mediatica riservata all’Arma dei Carabinieri, per i fatti di Piacenza, a partire dalla teatrale conferenza stampa della Procura della Repubblica e del locale Comando della Guardia di Finanza di mercoledi scorso, non ha euguali nelle cronache di settore.

Il controllo del territorio

Come si sa, leggendo i nostri articoli, reportage, interviste, commenti, Report Difesa è sempre molto attenta a tutto ciò che riguarda i protagonisti dei comparti della difesa e della sicurezza.

Siamo soliti seguirne tutte le vicende, dare risalto agli avvenimenti ed ai successi operativi.

Mai vorremmo, invece, dover rimestare tra le pieghe di ciò che di negativo può verificarsi nei loro ambiti.

Stavolta è toccato all’Arma, alla Stazione di Piacenza Levante.

Già dopo tre giorni, ormai sappiamo tutto. Ed anche molto di più di quanto può interessare.

Le notizie avrebbero però fatto meglio a limitarsi al perimetro delle indagini.

Ci risulta che ci siano disposizioni rigorose e limitative ben precise al riguardo e si deve constatare che forse sono state violate quasi tutte.

La neo titolare della Procura di Piacenza, dopo appena un mese dal suo insediamento, ha avuto così la possibilità, imitando tanti suoi più fortunati colleghi, di porsi all’attenzione di tutta Italia.

Ma noi non dimentichiamo che oggi, più che in passato, la magistratura non ha nessuna possibilità di impartire lezioni a nessuno e men che meno ad una antica e poderosa istituzione qual è l’Arma dei Carabinieri, che ha l’etica per sua connaturata componente!

Il comandante Generale dei Carabinieri, Nistri

La conferenza stampa dei giorni scorsi, così ricca di particolari investigativi e un briefing corredato da bellissime slide colorate, hanno offerto non una informazione ad uso dell’opinione pubblica, notoriamente “mostro insaziabile”, ma un dettaglio di eventi che sarebbe degno del miglior pubblico spettacolo.

Anche Roberto Saviano e la sorella del Geometra Cucchi hanno ritenuto di dover impartire le loro lezioni di etica, traendo conclusioni lapidarie e ultimative.

Così non va, il “sistema Arma” non va, sentenzia solenne e severa Ilaria Cucchi, “…basta parlare di singole mele marce, i casi stanno diventando troppi. Il problema è nel sistema. . . ”.

Potrà anche esserci qualche problema del “sistema Arma” ma, e se mai così fosse, lo sarebbe solo perché indotto da un “sistema Paese” gravemente e lungamente malato!

Non dimentichiamoci – amici di “La Repubblica” e di quei quotidiani, non tutti in verità, che tanto hanno voluto “affondare il coltello nella piaga” in questi giorni – che l’Arma vive e opera in Italia, non su Marte!

Vive e si muove su una palude melmosa di un Paese il cui “sistema Paese” è assolutamente malandato e ben lontano dal potersi redimere.

Noi dunque vorremmo un’Arma perfetta, infallibile, irreprensibile, dove però tutto è imperfetto, confuso, prevaricatorio, corrotto, inefficiente? Ma di che parliamo?

L’Arma non ha mai vissuto parentesi serene, tranquille. Mai, assolutamente mai.

La sua compattezza granitica di tempi non lontani, la sua efficienza nonostante tutto e spesso tutti, la sua militarità ineccepibile, gli apprezzamenti rivolti da importanti Paesi alleati per la sua operatività preziosa nei teatri operativi esteri, ne hanno fatto incredibilmente quasi un corpo estraneo tra le istituzioni pubbliche e consimili tanto che molti, tanti, troppi ne sono risultati infastiditi e da sempre tentano di scalfirne non solo l’immagine.

Non si può non ricordare il nuovo ordinamento della Pubblica Sicurezza del 1981 che usurpò lo status originario di “Polizia dello Stato” all’Arma, attribuendolo al riformando Corpo delle Guardie di PS con la denominazione di “Polizia di Stato” e definendo da allora profeticamente l’Arma come “Forza armata in servizio permanente di Pubblica Sicurezza”!

Ricordiamo che un tempo, quando i Carabinieri erano i “Reali Carabinieri”, gli altri erano “Regio Esercito, Regia Marina, Regia Aeronautica, Regia Guardia di Finanza e Regie Guardie di PS”, ovvero i Carabinieri al servizio dello Stato, del Re che esso rappresentava, gli altri al servizio dei governi.

Non solo, quella legge del 1981 creò le premesse per esautorare, con l’avvento del nuovo Codice di Procedura penale, il compito esclusivo dell’Arma di coadiuvare i Procuratori della Repubblica ed i Procuratori Generali nelle attività di indagine con le Squadre Carabinieri ed i Nuclei Carabinieri di Polizia Giudiziaria.

A ciò si accompagnerà l’incredibile, italianissimo, inedito passaggio della iniziativa, conduzione e direzione delle indagini ai Pm che si impadroniranno di un potere via via cresciuto sino a divenire oggi illimitato e incontrollabile.

Un potere smisurato cui non è corrisposto però un miglioramento del servizio della giustizia, tutt’altro. E il caso di Piacenza ne è tragica prova.

Ma se le malefatte dei mascalzoni in uniforme in parola sono state all’attenzione degli inquirenti (Pm e Finanzieri) già tre anni fa, come mai si son lasciate proseguire fino ad oggi?

La legge obbliga di impedire che i reati di cui si viene a conoscenza vengano portati ad ulteriori conseguenze!

E i Pm che hanno validato e legittimato i numerosi arresti, di cui si favoleggia, come mai in tre anni non hanno eccepito nulla?

Erano d’accordo o avevano bisogno di ingigantire l’evento per poter fare una bella conferenza stampa e guadagnare così fama subito e promozioni poi?

Amici della stampa, quando scriviamo documentiamoci e ricordiamoci che tutte le medaglie hanno due facce!

Intendiamoci, se quanto ci hanno raccontato è vero – chissà se e quando potremo mai saperlo – che i colpevoli siano condannati alla detenzione, alla radiazione dai ruoli dell’Arma, ecc. ecc.

Ma non facciamo tanto chiasso, non si giustifica. Nessuno tra le Forze di Polizia e le Forze Armate “è senza peccato e può lanciare la prima pietra”, men che meno nessuno dei magistrati, oggi più che mai!

Ma neppure nessuno, assolutamente nessuno della politica può fiatare o pensare di dare lezioni all’Arma.

L’Arma, cari signori, è e rimane una organizzazione poderosa, potente e non guasterebbe, forse, che all’occasione anziché fare un “mea culpa” facesse invece lo sguardo feroce e invitasse ciascuno a guardarsi in casa propria e nelle proprie tasche, perché una cosa è certa: nell’Arma chi sbaglia paga!

Altrove non si sa e in certi ambiti quasi mai. E vorremmo dire ai vari mestatori e venditori di aria fritta: “via le mani dall’Arma”.

Sono ben altre le realtà da riformare in questo Paese.

Se veramente qualcuno pensa che l’Arma abbia dei problemi di controllo del personale e di coordinamento delle sue migliaia e migliaia di Stazioni e Unità operative, bene, questo qualcuno deve sapere che l’Arma opera in Italia, dove non c’è più né la pena di morte né la fustigazione né altri rigori che si vorrebbero riservare agli altri (ma mai a se stessi).

Un tempo lontano vi era un pubblico impiego civile e un pubblico impiego militare.

I militari costituivano una vera e propria società militare, con superiori e inferiori, con un regolamento (indipendente) di disciplina militare rigorosissimo, che attribuiva poteri illimitati ai comandanti e garantiva una subordinazione assoluta.

Con la riforma del 1978 si è capovolto il mondo, gli “inferiori” diventano “collaboratori”, nel confronto professionale e dialettico con i superiori diventano la “parte debole” protetta smodatamente dal nuovo regolamento di disciplina e dalla giurisprudenza penale militare e amministrativa.

L’introduzione della rappresentanza militare e oggi, quella assurda , dei sindacati ha distrutto un sistema collaudato di comando e controllo.

Ogni intervento dei comandanti sul militare sfocia facilmente in denunce penali contro il comandante o ricorsi al TAR.

Le modalità di impiego di Carabinieri e Finanzieri per effetto dell’estensione dei contratti collettivi di lavoro della Polizia di Stato hanno trasformato le categorie non direttive delle Forze di polizia a ordinamento militare in impiegati pubblici, con tutti i diritti riconosciuti difetti del pubblico impiego.

Et de hoc satis!

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