Di Flavia De Michetti
ROMA. Nei giorni scorsi, a Roma, presso il centro “Esperienza Europa David Sassoli” a Piazza Venezia, si è svolta la conferenza internazionale multilaterale “Le donne nelle Forze Armate e di Polizia: capacità di intermediazione e soluzione diplomatica nelle situazioni di conflitto”, organizzato dall’Istituto diplomatico internazionale (IDI) con il patrocinio del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione Internazionale.
In questa occasione, Report Difesa ha avuto la possibilità di intervistare il Capitano Serena Cesi, dello Stato Maggiore dell’Esercito, una donna direttamente impegnata all’interno delle Forze Armate, Ufficiale Psicologo dell’Esercito Italiano che, dal 2017, lavora presso l’Ufficio di Psicologia e Psichiatria militare dello Stato Maggiore

Una delle donne in divisa impegnate per la sicurezza nelle nostre città
Quante sono le donne nell’Esercito?
Le donne rappresentano, a oggi, circa il 9% del personale dell’Esercito, delle quali:
– circa il 7% (563 un.) appartiene alla categoria degli Ufficiali;
– circa il 5% (434 un.) appartiene alla categoria dei Sottufficiali;
– circa il 50% (4.036 un.) appartiene alla categoria dei Graduati;
– circa il 38% (3.044 un.) appartiene alla categoria dei Militari di Truppa.
Il grado apicale al momento rivestito da una donna soldato dell’Esercito è quello di Tenente Colonnello e, al momento, sette Ufficiali hanno raggiunto l’importante traguardo del comando di unità operative del livello battaglione/gruppo.
Relativamente alla progressione di carriera, secondo una proiezione teorica, il primo Ufficiale donna sarà valutato per l’avanzamento al grado di Colonnello tra circa tre anni, mentre è verosimile prevedere il conseguimento del grado di Generale di Brigata nel 2031.
Come sono reclutati gli Ufficiali psicologi dell’Esercito e qual è il loro impiego?
Gli Ufficiali psicologi nell’Esercito sono reclutati tramite un concorso a nomina diretta, a cui possono accedere i candidati di entrambi i sessi, nel limite del 35° anno di età, che siano in possesso della laurea magistrale in psicologia e dell’abilitazione all’esercizio della professione.
I vincitori, dopo aver superato le prove di cultura professionale, di efficienza fisica e gli accertamenti psicoattitudinali, entrano a far parte del Corpo di Sanità dell’Esercito con il grado di Sottotenente, e si formano ulteriormente attraverso un Corso Tecnico Applicativo della durata di circa nove mesi.
Successivamente, vengono impiegati, a seconda delle necessità di Forza Armata, negli Enti Selettivi, negli Istituti di Formazione, nei reparti operativi a livello Comando Brigata, negli Alti comandi e negli Organi Centrali.
L’area della selezione del personale è quella in cui si sono formati i primi psicologi militari e ancora oggi prevede l’impiego di molti di essi.
In particolare, prevede tutta una serie di attività, strumenti e procedure per scegliere i concorrenti più motivati e che presentano sia una struttura di personalità capace di adattarsi al contesto militare sia caratteristiche attitudinali peculiari (ad esempio cognitive, emotive, relazionali), individuate da ciascuna Forza Armata e differenziati in relazione ai diversi ruoli (Ufficiali, Sottufficiali e Truppa).

La locandina della conferenza internazionale multilaterale “Le donne nelle Forze Armate e di Polizia: capacità di intermediazione e soluzione diplomatica nelle situazioni di conflitto”
In ambito formativo, gli psicologi militari pianificano, predispongono e realizzano interventi psicologici a favore dei militari e delle loro famiglie soprattutto per la gestione, individuale e di gruppo, dello stress da fatica e da combattimento, oltre a quello conseguente alla lontananza dagli affetti (come ad esempio coniuge, figli, genitori, e così via) e quello vissuto in condizioni disagiate.
Gli interventi sono realizzati sia all’interno delle unità operative (come Brigate, Reggimenti) sia nelle fasi del ciclo operativo (ad esempio approntamento, impiego e riadattamento) per sostenere il benessere psicologico e potenziare il morale individuale, di gruppo e familiare.
Fra le numerose attività, oltre a quelle di stress management, viene realizzata un’analisi del clima psicologico e organizzativo, sia in Patria che all’estero, con lo scopo di rilevare determinate caratteristiche dell’organizzazione percepite dai membri (come motivazione al lavoro, stili di leadership, soddisfazione lavorativa, e così via).
Inoltre, vengono realizzate numerose attività su tematiche psicologiche specifiche (ad esempio operazioni psicologiche nei teatri di peacekeeping, gestione della relazione, team building, comunicazione efficace, negoziazione e gestione dei conflitti, ri-motivazione del personale e molto altro).
In ambito clinico, invece, gli psicologi militari promuovono una serie di attività che vanno dal supporto clinico (come recupero psicofisico del personale impiegato nelle missioni di pace, sostegno alle famiglie, sostegno, in Patria e all’estero, alle popolazioni in caso di calamità naturali o eventi traumatici) alla prevenzione e gestione dei disturbi conseguenti a eventi traumatici (ad esempio Disturbo Post Traumatico da Stress), al monitoraggio e alla prevenzione delle
condotte a rischio (come autolesionismo e suicidio) e della devianza (come tossicodipendenza), fino allo stress lavoro – correlato e ad attività psicodiagnostiche.
Come le donne nell’Esercito riescono a conciliare il lavoro con il ruolo di madre?
Conciliare questi due ruoli, quello professionale e quello genitoriale, rimane, oggi che il processo di interiorizzazione della presenza femminile nell’Esercito è completo, una delle sfide più ardue.
Sicuramente è possibile giovare di tutte le misure a tutela e sostegno della maternità e della paternità, garantite dalle leggi dello Stato.
Fino a oggi, molto è stato fatto soprattutto in termini di welfare, come asili nido, alloggi e sostegno alla famiglia in generale e i miglioramenti a supporto delle “famiglie militari” sono costanti.
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