Stati Uniti-Iran, quale verità si nasconde dietro la crisi del Golfo Persico?

Di The Hawk

Tehran. Da qualche tempo continua un confronto impari tra una superpotenza come gli USA ed un topolino come l’Iran, un Paese orgoglioso che inchioda la propria esistenza e sovranità su un Golfo Persico nel quale non ha buoni rapporti di vicinato.

L’Iran è in guerra con la maggior parte del mondo dal 1979, anno della rivoluzione. Questa guerra, sia di conflitto armato che politico-economico-sociale, ha portato il Paese ad essere sempre più sanzionato nel contesto internazionale e quindi, di contro, sempre più autonomo, indipendente dalle altre nazioni, per una mera questione di sopravvivenza.

Partendo dalle basi lasciate dal regime dello Scià, basi industriali e militari, il popolo persiano ha dovuto imparare a svilupparsi in maniera autosufficiente, in proprio, con palesi o con non evidenti aggiramenti delle sanzioni, delle leggi internazionali, del controllo costante e scrupoloso da parte dei guardiani del pianeta.

La sua determinazione e la sua costanza ha portato l’Iran ad essere credibile, rispettato ed anche temuto, perché le possibilità e le capacità globali ci sono e possono incutere preoccupazione.

Il popolo è cosciente delle risorse del Paese, della grandezza e delle potenzialità. E’ un popolo orgoglioso che desidera vivere nella serenità e nel rispetto delle proprie idee e tradizioni.

Spesso l’occidente non riesce a capire il sentire di questo popolo, valutando alcune reazioni come un contrasto verso il regime, mentre talvolta è un mero disagio dovuto a situazioni esasperate.

L’Ayatollah Khamenei è sempre saldo alla guida dell’Iran, spesso criticato ma mai contrastato, consigliato da persone capaci ed esperte che hanno una visione di uno Stato prospero con un ruolo importante nel contesto internazionale.

Ali Khamenei

Infatti il Paese ha un PIL elevato, il 18° mondiale e 2° nell’area MENA, è il 4° nel mondo per le riserve di olio e 2° per quelle di gas.

Quindi non è allo sbando. E di certo preoccupato per le nuove sanzioni, ma è anche capace di reagire ed affrontare nuovi scenari. In questo contesto è importante ogni decisione presa, ogni provvedimento deve rientrare in una visione globale che possa far crescere il paese e non metterlo a rischio di azioni di ritorsione che possono esporre l’Iran al rischio internazionale.

Di recente, gli attacchi alle petroliere nel Golfo Persico e nello Stretto di Hormuz, hanno esposto l’Iran, mettendolo sul banco degli imputati.

Sono state piazzate diverse mine navali, comunemente denominate “limpet” per la loro forma, su alcune petroliere, le ultime due in uscita dallo Stretto di Hormuz. Alcuni testimoni oculari hanno parlato di oggetti volanti che hanno impattato contro lo scafo delle navi creando le esplosioni. Tali dichiarazioni sono ancora al vaglio degli organi preposti.

Le mine individuate, per le loro caratteristiche, hanno fatto solo alcuni danni agli scafi e non hanno causato l’affondamento delle navi. D’altronde sono una tipologia di mina magnetica che viene applicata, di solito, in zone ove si possono agire contro l’apparato di propulsione o di controllo e di direzione del vettore.

Non si considera il come ed il quando sono stati piazzati gli ordigni, ma le motivazioni che hanno portato all’utilizzo di tali congegni.

CENTCOM, il Comando USA responsabile per le operazioni nel Golfo Persico, ha affermato che tali atti sono da imputare all’Iran, in particolare alla componente navale delle Guardie della Rivoluzione.

L’affermazione parte da un video in cui si vede chiaramente una imbarcazione, presumibilmente delle IRGC-N, che si avvicina allo scafo della petroliera giapponese “Kokuka Courageous” e l’equipaggio rimuove quello che potrebbe essere un ordigno magnetico, lasciando sullo scafo un detrito. Questa azione, fatta da personale esperto, in sicurezza e con maestria, evidenzia una probabile conoscenza dell’ordigno da parte di chi lo avrebbe posizionato.

Dall’analisi di tale detrito, le autorità competenti USA hanno stabilito che potrebbe trattarsi di una parte di una mina magnetica iraniana del tipo “limpet”.

Verosimilmente anche le altre esplosioni sulle altre navi potrebbero essere riconducibili alla stessa tipologia di ordigno e quindi alla stessa mano.

Un’azione di questo tipo merita una strategia vincente, necessita di un progetto accurato per il raggiungimento di obiettivi strategici che possono essere politici ed economici.

Potrebbe essere anche una “false flag”, un’azione di una potenza che faccia ricadere le colpe su un altro paese, ma è ancora da verificare.

L’Iran, quali obiettivi potrebbe raggiungere con un’azione di questo tipo?

La destabilizzazione del Golfo e del Mare di Oman è un boomerang, una ritorsione contro gli interessi iraniani.

L’Iran necessita di esportare il petrolio, le fonti energetiche sono una buona percentuale del loro PIL, non sono vitali (come lo è stato per il Venezuela) ma importanti.

Con la crisi del Golfo il traffico marittimo potrebbe diminuire ed il costo assicurativo dei vettori potrebbe aumentare, con conseguente incremento costo del petrolio al termine della filiera.

Il costo del petrolio alla fonte non avrebbe un significativo aumento, rimpiazzato da altri canali energetici, quindi l’Iran avrebbe molto da perdere. E fare un’azione contro se stessi non avrebbe logica.

Inoltre, qualsiasi atto di pirateria nel Golfo farebbe incrementare la presenza USA, di fatto considerevole, con un ampliamento di sensori, già numerosi, che potrebbero rilevare ogni movimento anomalo nell’area.

E maggiore è la presenza USA nel Golfo minore è la possibilità iraniana di muoversi e controllare l’area, con il rischio di incidenti tra le parti.

Ogni atto di pirateria o terroristico accreditato ad una nazione le fa crollare il mercato dell’import e dell’export, con forti ricadute economiche interne, quindi ulteriore boomerang per Tehran.

Ma, incognita fondamentale, qual è il progetto del Leader Supremo in un’azione simile? Quali sono gli obiettivi da raggiungere?

Le IRGC – Pasdaran, si muovono con una pianificazione vincente, vedasi l’intervento in Siria ed in Iraq contro l’ISIS. Il comandante delle Forze Qods iraniane, Generale Solemaini, ha sviluppato un progetto vincente che ha liberato le nazioni dalla presenza dei fanatici terroristici ed ha legato al sistema iraniano sia Damasco che Bagdad.

Il Maggiore Generale Soleimani

Il Generale Hossein Salami, comandante in Capo delle IRGC, è uno dei maggiori consiglieri della politica estera e della sicurezza di Khamenei.

Considerato come un’ottima guida dai pasdaran, difficilmente pianifica un errore eclatante che possa mettere a rischio il sistema iraniano. Non vi sono le condizioni, al momento, che dall’attacco alle petroliere possa nascere un conflitto contro l’Iran, ma di certo se Tehran fosse giudicato colpevole dell’atto terroristico le ripercussioni internazionali sarebbero pesanti.

Ancora, l’Iran ha rispettato finora le condizioni poste dal trattato JCPOA, gli USA ne sono usciti ed hanno applicato unilateralmente delle pesanti sanzioni, decisione di Trump che ha messo in difficoltà gli altri membri del 5+1 ed in particolare l’Unione Europea, visto che non vi erano motivi di stracciare l’accordo.

Fare un’azione di terrorismo nel Golfo darebbe un pretesto anche per gli altri membri del 5+1 e dell’Unione Europea di uscire dall’accordo, dando ragione a Trump ed isolando completamente il governo di Tehran.

Infine, le solite minacce di chiusura dello Stretto di Hormuz. Vari esponenti politici e militari iraniani spesso hanno dichiarato la loro capacità e volontà di chiudere lo Stretto di Hormuz in caso di crisi contro il governo di Tehran. Tali affermazioni hanno dei fondamenti non corretti.

Il traffico navale di entrata ed uscita dal Golfo passa attraverso due corridoi obbligatori posti uno davanti alla penisola del Musandan, acque omanite, ed uno posto nelle acque iraniane dietro alle isole Tonb.

I due corridoi sono regolati attraverso un sistema denominato TSS (Traffic Separation Scheme), che evita le collisioni tra i vettori. L’Iran può chiudere lo spazio navale di propria competenza ma non quello omanita che consentirebbe comunque il flusso navale da e per il Golfo Persico.

I due corridoi sono regolati attraverso un sistema denominato TSS (Traffic Separation Scheme)

Ancora, in caso di chiusura delle acque iraniane, il traffico navale potrebbe avere delle limitazioni per quanto, transitando per le acque internazionali del Golfo e quelle degli Emirati, il pescaggio non sarebbe sufficiente per la navigazione di alcune navi tanker, in particolare quelle della categoria ULCC e VLCC.

Quindi l’Iran, se non vuole fare un atto di aggressione contro l’amico Oman, non può chiudere lo Stretto di Hormuz.

Lo Stretto di Hormuz

Gli USA, con questa azione terroristica, hanno avuto il pretesto di incrementare la sorveglianza e Trump ha annunciato l’invio di 1.000 uomini nell’area. Questo numero di uomini non ha un significato preciso, forse solo una mossa politica. Cosa significano 1.000 uomini, tutti operativi? Logistici? Oppure quanti operativi e quanti logistici? Analisti? Agenti dei Servizi e della Sicurezza Nazionale? Insomma il numero non vuol dire nulla e di certo non si inizia un conflitto con 1.000 uomini schierati in Qatar o nel Bahrein.

E la Russia, grande partner di Tehran? Per il momento tace, attende delle chiare “evidence” per poter esprimere la propria posizione ed effettuare i propri passi nell’area. Al momento, comunque, è il paese garante per la questione nucleare iraniana, voce autorevole ed indiscutibile.

In sintesi, l’azione di minare delle petroliere nel Golfo Persico e nel Mare di Oman è un atto grave che necessita di una risposta e dell’individuazione dei colpevoli. L’Iran potrebbe essere il mandante di tale azione per dimostrare che ha le capacità di intervento per poter chiudere lo Stretto di Hormuz, ma sarebbe un’azione poco lungimirante e senza un chiaro fine economico e politico.

Non trova neanche risposta l’attacco dato come “messaggio” per il primo ministro giapponese durante la sua visita, è senza alcuna logica. Il Giappone, anche se ha dovuto sospendere le importazioni di greggio dall’Iran, è un ottimo partner nella politica estera di Tehran ed un ottimo interlocutore verso i paesi asiatici.

Come sopra riportato, i pasdaran difficilmente effettuano delle azioni se non hanno una logica ed un progetto ben preciso, non lasciano spazio al caso o all’immaginazione.

Errori fatti in passato insegnano che le azioni portano a conseguenze internazionali con importanti ricadute politiche ed economiche. Nell’attuale situazione Tehran non deve perdere il consenso internazionale, non si può permettere di salire su un banco degli accusati, necessita di una forte economia internazionale per finanziare progetti costosi in Siria, Libano ed anche nello Yemen. Le sanzioni internazionali potrebbero far rinascere i malcontenti della popolazione che sopporta il maggior carico delle spese militari ed internazionali nella speranza di poter arrivare ad un futuro migliore.

Quindi le azioni terroristiche contro le petroliere nel Golfo non sarebbero una manovra intelligente da parte delle IRGC N, ma forse bisogna anche cercare i colpevoli in più direzioni per evitare di accusare con troppa facilità il “diavolo del Golfo”.

E analizzando le foto presenti online, cominciano ad affiorare alcuni dubbi.

L’immagine con un pezzo di magnete ancora presente sullo scafo, viene riportato con un diametro di circa 3. Analizzando le tracce presenti sullo scafo, si evidenziano la posizioni degli altri magneti della mina. Si possono notare distintamente almeno otto magneti. Supponendo che la misurazione sia effettuata in centimetri e calcolando la larghezza dei magneti e la loro posizione, si può calcolare una distanza approssimativa di circa oltre 20 cm di diametro. Quindi la “limpet” mina potrebbe avere un diametro leggermente superiore. Sinceramente un po’ piccola. Se invece consideriamo il diametro di 3 inches, la mina potrebbe avere un diametro di oltre 17 inches, pari a circa 44 cm, più plausibile anche con il video rilasciato da CENTCOM.

Dalla foto della “limpet” mina presente all’esposizione degli armamenti navali iraniani del 2015, si può calcolare che, in base al pass dell’addetto, circa 10 cm, della lunghezza del suo avambraccio, circa tre volte il pass, la lunghezza della mina risulterebbe avere un diametro di oltre 60 cm. Quindi è molto probabile che la mina navale presente nello stand dell’esposizione non sia quella utilizzata per l’attacco alla nave cisterna.

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