Afghanistan: a Doha la storica intesa coi Talebani, tra perplessità e speranze

Di Daniela Lombardi

Doha. Un’intesa che procede su due piani diversi.

Celebrato come “accordo di pace” che pone fine a vent’anni di guerra tra Usa e talebani, il documento sottoscritto a Doha, in Qatar, tra i rappresentanti degli Stati Uniti e il Mullah Biradar Ghani in rappresentanza dei Taliban, lascia il dubbio che si sia in presenza della solita dichiarazione di intenti che potrebbe sfumare alla prima mossa falsa di una delle parti in campo.

La storica firma degli accordi con Talebani

Anche perché, mentre in Qatar si firma al grido di “Allah u akhbar”, per il ritiro delle truppe Usa entro 14 mesi dal territorio afghano, l’incontro parallelo a Kabul tra la Nato e il presidente afghano Ashraf

Ashraf Ghani, Presidente afgano

Ghani assume toni meno entusiastici.

Si parla ancora, a Kabul, di una missione NATO “condition based”, espressione usata fino ad oggi per dire, traducendo in termini semplici: “Poniamo un termine per il ritiro che però, in base alle condizioni che si realizzeranno sul campo, potrebbe anche slittare ulteriormente”.

Il segretario NATO, Jens Stoltenberg comunica che la missione “Resolute support”, di addestramento delle truppe afghane per fronteggiare le minacce interne, proseguirà comunque.

Nel frattempo i talebani (e questo è previsto anche nel documento di Doha) dovranno dimostrare la buona volontà di procedere ad un “cessate il fuoco” che sia durevole e permanente. I giorni precedenti all’accordo, nei quali già la guerriglia doveva essere fermata, non danno certo grosse garanzie in tal senso, visto che gli attentati sono proseguiti comunque, anche se i talebani non hanno rivendicato né smentito.

In ogni caso, quanto oggi stabilito a Doha, dovrà essere portato sul tavolo del governo afghano, finora escluso dai colloqui coi talebani.

E’ questo quanto ha chiesto come garanzia il Presidente Ghani da Kabul, ribadendo che il governo non può continuare ad essere escluso da una trattativa così importante. Quel che si teme, anche se nessuno osa dirlo troppo apertamente, è che Ghani, che da tempo aveva intrapreso una linea più “dura” in merito agli accordi coi talebani, possa trovarsi isolato e possa, di conseguenza, essere bersaglio di attentati volti ad eliminare una figura scomoda che, però, gode di ampio sostegno popolare come hanno dimostrato le recenti elezioni.

E sempre a Kabul, sul fronte dei taliban, il leader degli stessi, Mullah Hibat Ullah Akhunzada, chiama all’unità tutte le correnti talebane, ribadendo l’importanza di rispettare l’accordo appena sottoscritto e “perdonando” pubblicamente chiunque abbia in passato effettuato azioni contro gli stessi talebani.

Contemporaneamente, a dimostrazione delle buone intenzioni, mille soldati afghani detenuti dai talebani verranno rilasciati.

La contropartita, in tal caso, è la liberazione dalle patrie galere afghane di ben cinquemila talebani. Insomma, tra richieste e cedimenti dall’una e dall’altra parte, non sembra ci siano grosse novità rispetto al passato, quanto ai contenuti.

Poiché però anche la forma può essere sostanza, l’auspicio è che un impegno finalmente sottoscritto ufficialmente riesca a costituire un vincolo più stringente se paragonato a quanto avvenuto.

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