Giornata della Memoria: I tanti capitani Alfred Dreyfus italiani e le colpe dell’establishment militare

Di Antonio Li Gobbi*

Roma – nostro servizio. Oggi si celebra la Giornata della Memoria, giornata tristissima in cui vengono ricordati sia gli internati nei campi di concentramento tedesco sia i milioni di vittime della Shoà.

Una pagina tetra della Storia Umana e della storia del nostro continente in particolare.

Sappiamo di comportamenti meritori di militari italiani che nei territori occupati dall’Asse (essenzialmente nella Penisola Balcanica e in Francia) corsero anche gravi rischi personali per sottrarre persone di religione ebraica alla deportazione e allo sterminio.

Ma, purtroppo, anche le Forze Armate italiane in relazione  alla persecuzione della comunità ebraica annoverano episodi di cui non si può andare fieri.

Mi riferisco alla passività con cui fu accettata nel 1938-39 l’espulsione dalle Forze Armate dei militari di religione ebraica.

 

Immagini dai campi di concentramento

Mi si obietterà che ciò è successo in tutta la società italiana, che anche l’ambito dei docenti universitari diede  (nel suo complesso) prova di praticamente totale asservimento ai voleri criminali del PNF a tale riguardo.

Sarà vero, ma da chi indossa l’uniforme e porta le stellette, da chi può essere chiamato a dare la propria vita per il bene della Nazione, ci si sarebbe dovuti aspettare una ben diversa reazione quando i loro compagni d’arme, il cui petto era talvolta carico di medaglie al valor militare,  venivano allontanati dalle Forze Armate in virtù delle leggi razziali.

Ciò non avvenne!  I vertici militari non si dimisero per protesta come da Soldati (con la S maiuscola)  avrebbero dovuto fare.

Il sovrano supinamente e vigliaccamente firmò, tradendo così non solo i suoi “sudditi” di religione ebraica ma anche i tantissimi Soldati di religione ebraica che avevano combattuto per l’Italia nella Grande Guerra e durante tutta l’epopea risorgimentale!

Il campo di Auschwitz

Non si intende qui trattare le conseguenze delle nefaste “leggi razziali” in Italia, ma ci si vuole concentrare esclusivamente su una piccola nicchia della società, una nicchia che se ne avesse avuto il coraggio e la determinazione avrebbe potuto forse almeno “tentare” di opporsi a tale vergogna nel proprio ambito: le Regie Forze Armate!

Dopo alcuni tentennamenti, distinguo, marce indietro, promesse di eccezioni per speciali meriti fatte e subito tradite e nonostante l’opposizione  anche di alcuni gerarchi del PNF ( in primis Italo Balbo, ma anche De Bono e Federzoni),  a fine 1938 venne emanato il vergognoso Regio Decreto Legge 22 dicembre 1938, n. 2111, dal titolo “Disposizioni relative al collocamento in congedo assoluto ed al trattamento di quiescenza del personale militare delle Forze armate dello Stato di razza ebraica”.

Tale RDL verrà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 6 febbraio 1939.

Uno stralcio de “La Stampa” dell’11 novembre del 1938 titolava “Le leggi per la difesa della razza” e nell’occhiello riportava che “L’ebreo non poteva prestare servizio militare”

Con inusitata tempestività, già dal 1° gennaio 1939 si attuò l’epurazione dalle Forze Armate del Regno (pudicamente chiamata “congedo”) degli italiani considerati di “razza ebraica” (sic!).

Ininfluente che alcuni di tali Soldati avessero servito con coraggio ed onore per decenni su più fronti, guadagnandosi decorazioni certamente più meritate di quelle concesse “a posteriori” ad alcuni gerarchi fascisti (spesso in virtù più della loro influenza nel partito che del loro eroismo sul campo, come dimostreranno anche alcune decorazioni concesse durante la guerra d’Etiopia  a gerarchi in “turismo bellico”).

I “congedi” per i militari considerati di “razza ebraica” scattarono inesorabili, senza conceder loro di far appello a precedenti  meriti          militari personali.

La scure, infatti, si abbatté senza pietà anche su coloro che inizialmente erano stati dichiarati“discriminati” (che brutto termine per indicare gli ebrei che in virtù dei loro meriti personali non avrebbero seguito la sorte dei loro correligionari!) o persino a coloro che si fossero convertii al cattolicesimo!

La prima del “Corriere della Sera” sulle leggi razziali

Le fonti del Ministero della Guerra (“Promemoria per il Duce”, in data 22 aprile 1939) riportano che l’invio  “in congedo per motivi razziali” sia stato effettuato con celerità ed efficienza (ci auguriamo che sia stata una delle tante bugie propinate a Mussolini circa l’efficienza del nostro apparato militare dell’epoca).

I dati numerici, sia pure parziali, sono impressionanti.

Solo per quanto riguarda gli ufficiali (fonti Alberto Rovighi, I militari di origine ebraica nel primo secolo di vita dello stato italiano, USSME, Roma 1999 e Giovanni Cecini “I congedi razziali dei militari ebrei italiani nel 1938-39” ):

  • Il Regio Esercito congedò ben 25 ufficiali generali (già in Ausiliaria o in Riserva), 81 ufficiali in servizio permanente  e 2.952 ufficiali non in servizio. In totale il Regio Esercito congedò 3.058 ufficiali “di razza ebraica”
  • la Regia Marina congedò 29 ufficiali in servizio
  • la Regia Aeronautica congedò 38 ufficiali in servizio (attivo e complemento) più altri 44 militari, tra gli ufficiali di riserva, i sottufficiali e la truppa
  • La Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale congedò 279 ufficiali ( di cui 196 operativi e 83 di ruolo sanitario.

Uno tra  i tanti soldati che furono”messi alla porta”in quell’occasione fu Giorgio Liuzzi (1895-83) figlio del Generale di Corpo d’Armata Guido Liuzzi (combattente della guerra italo –turca e della grande guerra).

Uscito nel 1915 dalla Regia Accademia di Artiglieria e Genio, Giorgio Liuzzi partecipò alla I Guerra Mondiale come ufficiale di artiglieria da montagna.

Nel corso del conflitto fu decorato di una medaglia d’argento e una di bronzo al valor militare e promosso capitano per meriti speciali.

Il 1° gennaio 1939 era Colonnello titolato Scuola di Guerra in comando del 1° Reggimento Artiglieria Celere.

Venne sollevato dal comando e contestualmente congedato senza alcun rispetto per i suoi trascorsi militari.

Liuzzi collaborerà poi con la resistenza e rientrerà in servizio con il Regio Esercito che avanzava a fianco degli Alleati dopo la liberazione di Roma (giugno 1944), curando la collaborazione tra Forze Armate italiane e 8^ Armata Britannica.

Dal 1954 al 1959 sarà Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano.

Visita del capo di Stato Maggiore dell’Esercito Generale Giorgio Liuzzi alla Fiera Campionaria di Milano del 1956 (credit- achivio storico fondazione fiera.it)

Leggendo di quel periodo, quello che più mi ferisce come ufficiale italiano è stato il colpevole  silenzio dei vertici militari del tempo.

Nessun capo di Stato Maggiore si dimise per protesta.

Il “re soldato”  tradì tanti “veri” soldati italiani che avevano combattuto, loro sì, nelle trincee per l’Italia.

La storia e il significato della Shoah degli ebrei

Purtroppo, il “tradimento” dei militari di “razza ebraica” da parte del re (capo delle Forze Armate) e dei vertici militari (accuratamente scelti dal regime) doveva suonare a triste preavviso dell’accondiscendenza con cui lo stesso sovrano e gli stessi vertici militari solo due anni dopo avrebbero acconsentito a impiegare uno strumento militare non adeguatamente equipaggiato ed armato nell’impari conflitto che portò alla sconfitta su tutti i fronti e all’occupazione del territorio nazionale.

*Generale di Corpo d’Armata (ris)

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