Di Marco Lainati
Bolzano. Truffa aggravata, diffusione e promozione abusiva e vendita piramidale di moneta elettronica, abusiva raccolta del risparmio ed abusivismo finanziario, il tutto con l’aggravante della transnazionalità.
Sono questi i capi d’accusa formulati dalla Procura della Repubblica di Bolzano e che ora vedono rinviate a giudizio 14 persone, individuate dai finanzieri del locale Comando Provinciale al termine di una complessa indagine che ha visto coinvolta una società bulgara la quale, avvalendosi di numerosi cittadini italiani e stranieri, aveva promosso in maniera illecita l’acquisto di una nuova criptovaluta denominata “OneCoin”, spacciandola come un innovativo strumento finanziario ad alto rendimento e che avrebbe così consentito agli investitori di realizzare ingenti guadagni.
Che ogni forma d’investimento di questo genere comporti anche un elevato rischio per l’investimento stesso è formula nota in campo finanziario, per questo gli artefici della frode utilizzavano un sistema assai efficace (anche se non certo inedito) per attrarre sempre più investitori e mostrare subito gli “incassi”, ovvero quello del multi level marketing – conosciuto anche come “Schema Ponzi” – il quale si basa nel reclutamento continuo di nuovi “investitori-adepti”.
Chi è inserito in tali schemi, infatti, si deve adoperare per trovare sempre nuove persone disposte ad investire, il che gli consente di salire di livello in tali pseudo-società finanziarie e remunerare almeno in parte chi si trova ai livelli apicali della piramide.
Il sistema d’investimento appare dunque semplice nel suo funzionamento quanto sicuro nei suoi ricavi, peccato però che si tratti di forme di gestione del denaro oltremodo rischiose e del tutto abusive, e che lo schema stesso finisca puntualmente con l’implodere su sé stesso a causa dell’assenza di nuovi investitori; il risultato è dunque che la larghissima maggioranza delle persone che hanno investito in tale azzardato progetto si ritrovano sistematicamente con il perdere tutti i loro soldi e senza alcuna possibilità di rivalsa verso i responsabili.
In questa vicenda, la fondatrice della “società” specializzata in investimenti su criptovalute (una cittadina bulgara) è soggetto già noto alle cronache giudiziarie per aver subìto diverse condanne in vari Paesi e che in Italia, secondo quanto accertato dagli investigatori delle fiamme gialle, veniva coadiuvata da tre fratelli altoatesini residenti all’estero, anch’essi ai vertici dell’organizzazione e che a loro volta si avvalevano di diversi “promotori” sia a livello nazionale, sia a livello locale (nello specifico 9 altoatesini e un veneto).
Il modus operandi consisteva dunque nel proporre ai malcapitati interessati la criptovaluta “OneCoin”, ovviamente promettendogli guadagni straordinari quanto rapidi, con aggiunta di “bonus” qualora gli stessi presentassero all’organizzazione nuovi soci interessati all’operazione.
Nel novero di tali promesse non mancava anche quella legata all’aumento del valore di tale criptovaluta che avrebbe però proceduto di pari passo con l’aumento dei suoi investitori, nonché la possibilità di convertirla in moneta sonante attraverso una fantomatica quotazione in borsa in realtà mai avvenuta.
L’evidenza dei riscontri probatori ha così messo in mostra la classica truffa del settore caratterizzata dalle sue tipiche forme di raggiro, peraltro totalmente incomplete dei termini nonché delle condizioni del programma d’investimento in questione. In altre parole dinamiche comunemente presenti nelle forme di vendita piramidali e, in ogni caso, considerate ingannevoli dal Codice del Consumo.
Per dare un’idea della portata di tale truffa basti considerare come gli uomini della GDF bolzanina, anche attraverso intercettazioni telefoniche ed ambientali nonché diverse perquisizioni, alle quali si sono unite investigazioni condotte in territorio estero, abbiano quantificato in almeno 1,8 miliardi di euro l’intera portata della truffa su scala mondiale e che – soltanto per la zona Altoatesina – ha visto l’effettuazione di bonifici verso l’estero per circa 11 milioni di euro, dei quali 5 mln. sono stati disposti da ben 3.700 persone residenti nella provincia.
La vicenda, al di là delle sue importanti risultanze operative, mette ancora una volta in mostra l’impegno che la Guardia di Finanza costantemente produce nella tutela del risparmio, ma che deve essere affiancato anche da una necessaria attenzione da parte degli investitori affinché questi si rivolgano soltanto a società finanziarie di comprovata affidabilità.
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