Hong Kong, il governo filocinese ha perso l’occasione di gestire una società tra le più avanzate dell’Asia

Di Pierpaolo Piras

Hong Kong. “Si sono arresi”!  Così acclama la stampa di regime di Hong Kong dopo l’ingresso violento della polizia all’interno dell’ateneo locale, occupato simbolicamente e pacificamente dagli studenti.

Una delle giornate di protesta degli studenti di Hong Kong

Il governo filocinese di Hong Kong ha perso l’ennesima occasione e possibilità di saper gestire e, ancor più, tutelare una società tra le più avanzate dell’Asia, cresciuta all’insegna dei migliori principi, civili ed economici, della democrazia britannica.

L’ordinamento giuridico segue i criteri del “common law” mentre la moneta locale, il dollaro, è l’ottava più scambiata al mondo.

Le proteste di piazza nel “porto profumato” (così si definisce Hong Kong in lingua “mandarino”) sono iniziate nel febbraio scorso, quando venne proposta la applicazione della “legge sull’estradizione”, che avrebbe consentito, per alcuni crimini, l’estradizione verso la Cina, secondo una procedura esente dal controllo della magistratura locale.

Studenti contro poliziotti ad Hong Kong

Il fondato sospetto dei residenti sulla eventualità di arresti politicamente immotivati da parte del regime illiberale e comunista di Pechino verso eventuali dissidenti politici, ha suscitato le prime corali manifestazioni di protesta civile.

Data la prosecuzione dei disordini, tale decreto è stato ritirato, ma non soppresso.

Le proteste sono continuate, degenerando col blocco del frequentatissimo aeroporto della città e nell’assalto al Consiglio Legislativo in occasione del 22° anniversario della consegna di Hong Kong dal Regno Unito alla Repubblica Comunista Popolare Cinese, avvenuto il 1° luglio 1997.

Il culmine del contrasto politico e degli scontri di piazza è stato raggiunto in queste ultime settimane, caratterizzate da due importanti eventi: l’occupazione dell’università e lo svolgimento delle elezioni amministrative locali.

Nel primo caso (18 novembre scorso) circa un migliaio di studenti hanno occupato le strutture dell’università proclamando “ore rotundo” l’osservanza di alcune principali richieste, da alcuni mesi rivolte al governo centrale:

  • l’abolizione del decreto sulla estradizione
  • l’immediato rilascio dei dimostranti ancora in stati di arresto
  • le dimissioni dell’attuale capo dell’esecutivo, la governatrice Carrie Lam
  • la costituzione di una commissione d’inchiesta sul comportamento cinico, violento e repressivo delle forze di polizia
  • minori ostacoli nell’esercizio delle libertà democratiche

Le forze dell’ordine sono intervenute pesantemente con l’uso efferato dei manganelli, dei gas lacrimogeni e, in alcuni casi, di armi da fuoco.

Ancora, Carrie Lam ha emanato lo stato di emergenza, grazie al quale ha potuto vietare l’utilizzo di maschere travisanti. Ma, ricorrendo ad essa, avrebbe potuto anche limitare l’espressione dei media, agire giudiziariamente senza alcun mandato e persino chiedere l’intervento dell’esercito cinese, già potentemente schierato al confine di Stato.

File ai seggi nelle recenti elezioni ad Hong Kong

Vale la pena ricordare che oggi Hong Kong è una provincia appartenente totalmente alla Cina per ogni questione militare e di politica estera. Da un punto di vista politico gode, invece, di ampia autonomia, essendo governata da un’assemblea elettiva.

Nel trattato di passaggio, la Cina ha sottoscritto di rispettare questo “doppio sistema” per 50 anni, dalla data della sua stipula.

Tuttavia, Pechino intende ribadire il concetto di un’unica Cina, non ulteriormente divisibile.

Xi Jinping, Presidente della Cina, ha i suoi timori, agendo sia per evitare spargimenti di sangue che il precipizio del ricchissimo polmone economico hongkonghese.

Il Presidente cinese, Xi Jinping

Ancor più grave è il pericolo interno rappresentato dal possibile contagio delle libertà democratiche ed economiche trasmesse a larga parte del proprio territorio metropolitano, quello già oggi più emancipato sotto il profilo produttivo e commerciale.

Il secondo avvenimento degno di nota è rappresentato dall’elezione dei rappresentanti amministrativi di quattro giorni fa.

I pronostici davano un’affermazione dei movimenti democratici.

Tuttavia, è stata una valanga di preferenze a loro favore: dei 452 seggi in gioco ben 388 sono stati attribuiti ai democratici, i rimanenti ai partiti filocinesi.

Questo appuntamento elettorale, anche se di minor carattere amministrativo, ha assunto una valenza politica, quasi referendaria, pro o contro Pechino.

I Democratici hanno dato al governo cinese un segnale forte, chiaro e determinato sulle loro future intenzioni contro ogni forma di evoluzione sociale in senso comunista.

Questa fermezza durerà nel tempo? Pechino ci spera.

Anche stavolta, i governi europei hanno brillato per la loro assenza dal dibattito politico internazionale.

Alla luce di tali risultati delle urne, Pechino se da un lato conferma la sua flessibilità verso la condizione politica di Hong Kong, dall’altro ribadisce la sua netta sovranità sul quel territorio, al quale non intende in alcun modo rinunciare.

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