SPECIALE. Risorgimento, “Fratelli d’Italia” l’inno più interessante dal punto di vista musicale

Di Michele D’Andrea*

Torino. Dall’autunno del 1847 e per tutto il XX secolo, Fratelli d’Italia fu il canto patriottico più diffuso, quello in cui la combinazione di testo e melodia risultò talmente efficace da sbaragliare ogni concorrenza e divenire, nello spazio di qualche mese, la colonna sonora del nostro Risorgimento.

Goffredo Mameli

Perché, allora, la diffusa percezione di un inno debole? Perché quella sgradevole patente di marcetta?

Diciamo subito che nel panorama internazionale Fratelli d’Italia è uno fra gli inni più interessanti, soprattutto dal punto di vista musicale.

Michee Novaro

Con due grandi difetti: pochi lo conoscono e troppi lo eseguono male.

Così, sballottata fra ignoranza e improvvisazione, continua a risuonare nelle nostre piazze, nelle nostre caserme e nei nostri stadi una brutta copia del possente canto che Michele Novaro regalò all’indipendenza nazionale.

Un canto che, come tutta la musica del Risorgimento, rientrava pienamente nello stile del teatro d’opera, allora dominante: tecnicamente è assimilabile alla cabaletta – nel melodramma il momento dell’azione, della presa di coscienza, dell’incitamento – caratterizzata da una facile orecchiabilità, da un testo semplice e diretto, da una costante ripetizione della formula ritmica.

Esempi molto noti di cabalette sono La donna è mobile, Di quella pira, Suoni la tromba e intrepido.

E Michele Novaro era uomo di teatro. Figlio e nipote di pittori e scenografi, in quei mesi risiedeva a Torino perché aveva ottenuto un ingaggio come secondo tenore e maestro del coro nei teatri Regio e Carignano.

Uno spartito dell’Inno nazionale

L’opera gli dava da mangiare e il melodramma costituiva il suo orizzonte culturale e il suo stile compositivo.

Ecco perché, nella sua mente, la poesia di Mameli si traduce in una visione, in un’azione teatrale vera e propria (oggi diremmo cinematografica) con tanto di personaggi, scenografia e movimenti.

Novaro compone. È soddisfatto e non vede l’ora di far conoscere il nuovo lavoro agli amici, che riunisce in una ventina nel suo minuscolo alloggio.

Egli però non si siede subito al pianoforte. Esita. Sente il bisogno di raccontare la visione che gli era balenata in testa leggendo i versi di Goffredo e che lo aveva ispirato nella composizione.

Una visione che si apre su un’immensa pianura che accoglie l’intera popolazione italiana, radunatasi seguendo un misterioso richiamo.

Al margine della pianura, su un trono rialzato, è seduta una figura riccamente vestita e sotto il trono stanno re, principi, guerrieri, religiosi.

Un grande silenzio incombe sulla scena. Poi il personaggio si alza, allarga le braccia e con voce forte e solenne annuncia alla folla che l’Italia si è risvegliata, deve riprendere il suo cammino di gloria e tornare a essere vittoriosa.

Un mormorio si alza dalla gente che si guarda attonita, s’interroga e ripete a mezza voce, agitata, quelle parole.

Il popolo si persuade. Ma allora bisogna combattere e vincere.

Si combatta: “Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte, l’Italia chiamò“.

Se lo ripetono esaltandosi, l’entusiasmo li spinge a un crescendo incalzante che si conclude in un grido. Un grido che è insieme giuramento e urlo di guerra.

Novaro si mise al piano. La sua voce da tenore faceva rimbombare quella camera di sentimenti ed emozione.

Quando ebbe gettato quel “sì” finale, un “sì” che non compare nel testo poetico ma che è stato aggiunto dal musicista, ci fu un momento di silenzio, di sospensione. Poi la piccola stanza esplose.

Novaro fu abbracciato, baciato, complimentato. E molti dissero che l’Italia aveva finalmente il suo canto.

Un racconto suggestivo, non c’è che dire. Occorre però verificare se la scena immaginata da Novaro – una voce che chiama e un popolo che risponde – trova corrispondenza nella partitura. E per farlo non serve saper leggere la musica.

Come inizia il nostro inno? Squilli di trombe richiamano l’attenzione del popolo riunito nella pianura: qualcosa d’importante sta per accadere (battute 1-8).

L’annotazione Allegro Marziale indica la velocità e il carattere del brano.

Gli sguardi della gente s’indirizzano verso il trono, dove la figura si alza e allarga le braccia.

L’atmosfera è carica di tensione: cosa sta per dire? L’attesa per l’imminente annuncio è sottolineata in partitura non da una sola battuta di preparazione, come solitamente si sente, ma da due battute, molto più efficaci.

L’indicazione vibrato suggerisce, inoltre, di conferire al tema una particolare intensità espressiva (battute 9-12).

La figura inizia a parlare con un tono solenne e incisivo, perché la portata dell’annuncio è epocale: “Fratelli d’Italia! L’Italia s’è desta!“.

E in partitura Novaro annota Forte con molta energia. I primi versi dell’inno devono esprimere dignità, fierezza e convinzione (battute 14-29).

L’effetto dell’annuncio si abbatte come un pugno sullo stomaco della gente, lasciandola quasi senza fiato.

Per rappresentare quasi plasticamente una serie di cazzotti ben assestati, Novaro ha inserito alcune note serrate (battute 29-30).

Lasciatele risuonare, ora che ne conoscete il significato, e non copritele cantandoci sopra popopò-popopò-popò-popò-popò.

 La folla è attonita. Si guarda, s’interroga, ma non sa cosa rispondere.

È un atteggiamento naturale: quante volte, di fronte a una notizia scioccante, la nostra reazione è stata di ripetere meccanicamente le parole appena ascoltate?

Ecco perché Novaro fa replicare “Fratelli d’Italia” dopo ogni strofa, come un refrain: a parlare questa volta è il popolo, che ripete l’annuncio a mezza voce, incredulo.

Allievi del’Accademia di Modena intonano l’inno di Mameli

Questo stato d’incertezza è descritto perfettamente in partitura (battute 31-39).

L’indicazione Allegro Mosso, insieme con le annotazioni pianissimo (pp) e molto concitato e pianissimo e staccato rimandano appunto all’agitazione, alla sorpresa, alla paura.

E contrariamente a quanto avviene di solito, questa sezione dell’inno deve essere cantata a bassa voce, con un’espressione quasi da cospiratori.

Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte“.

Il popolo è ancora in preda allo sconcerto e all’incertezza. Affiora, è vero, l’ipotesi di combattere, ma la morte fa paura (battute 39-43).

Non cambia il colore del canto: ancora pianissimo, ancora sottovoce.

Ed ecco, finalmente, la svolta. Gli italiani hanno compreso. Ora sanno che la libertà non è un regalo ma una conquista e scelgono di combattere.

La morte non fa più paura.

La voce del popolo si fa allora più sicura, più convinta, più forte.

Il ritmo accelera e diventa incalzante, quasi a voler rompere gli indugi (crescendo e accelerando sino alla fine), sino al prorompere del potente grido, quel sì! che suggella il giuramento (battute 43-fine).

Ogni giuramento di un militare è sempre accompagnato dalle note dell’Inno nazionale

Quel “sì” non compare nella poesia, ma è stato introdotto in partitura da Novaro e ha una sua precisa funzione narrativa.

Bisogna pronunciarlo con impeto, passione e a piena voce.

Questo è l’autentico Canto degli Italiani che, forse, ci appare ora sotto una luce diversa, più bello e più dignitoso.

In ogni caso, sappiate che nel minuto e mezzo della prima strofa Michele Novaro da Genova è riuscito a sintetizzare il nostro Risorgimento.

Non tutti ne sarebbero stati capaci.

*Storico

 

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