Di Fabio Mattei
Napoli. Dai documenti ufficiali quei quattro container avrebbero dovuto contenere effetti personali e masserizie da spedire nel continente africano, ma quando i finanzieri del Comando Provinciale di Napoli ed il personale dell’agenzia delle Dogane e dei Monopoli hanno deciso di verificarne a fondo il contenuto è venuto alla luce l’ennesimo tentativo di esportare clandestinamente verso il continente nero rifiuti speciali pericolosi.
Questo è quanto accertato agli imbarchi-merci del porto di Napoli, dopo che i militari delle fiamme gialle ed i doganieri hanno aperto i container in questione scoprendo che al loro interno di effetti personali, mobilio, stoviglie ecc. non c’era nulla, salvo una gran quantità di abiti, peraltro in pessimo stato, accompagnati da un ingente numero di elettrodomestici ormai inservibili e di pneumatici usati, unitamente a 175 batterie per auto ed accumulatori del tipo normalmente impiegato per i ripetitori telefonici, quest’ultimi neppure dichiarati e dunque di più che possibile provenienza furtiva.
Secondo i finanzieri ed i doganieri che hanno operato il controllo con il successivo sequestro, le circa 42 tonnellate di rifiuti pericolosi una volta giunti a destinazione (Nigeria e Burkina Faso) avrebbero potuto fruttare sostanziosi proventi stimabili in circa 150.000 euro.
Risaliti all’intera “filiera” dei vari organizzatori della spedizione, sono state così denunciate all’Autorità Giudiziaria 12 persone tra le quali figurano quattro italiani, due nigeriani, due ghanesi, un burkinabé e tre togolesi, tutti accusati di falsità ideologica, traffico illecito di rifiuti, ricettazione ed altre violazioni al Testo Unico Ambientale.
La descritta attività pone ancora una volta l’accento sul gran lavoro di vigilanza ogni giorno assolto dalla GDF partenopea e dai doganieri all’interno del locale scalo marittimo, che si estende su circa 12 km. di banchine ed approdi vari e che vanta un traffico-merci annuo superiore ai 21 milioni di tonnellate.
Si tratta dunque di numeri decisamente importanti, ma che purtroppo implicano la presenza di traffici illeciti d’ogni tipo ai quali, specialmente in questi ultimi anni, si è aggiunto anche quello assai remunerativo dei rifiuti pericolosi che le c.d. “ecomafie” tentano di dirottare verso Paesi del terzo mondo, abbattendo in questo modo i costi dovuti al loro smaltimento (che nel mondo occidentale è regolato da severe norme ambientali nonché di sicurezza).
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