Liberazione: il ruolo importante (e troppo spesso dimenticato) dei Soldati italiani

Antonio Li Gobbi* 

Roma. In questi giorni, ricorre il 76° anniversario della Liberazione.

Si festeggia la liberazione

Le limitazioni imposte dalla pandemia non consentono le cerimonie  o le manifestazioni che di norma hanno luogo in questa occasione e che, talvolta, ammantandosi dell’eredità della Resistenza e della Guerra di Liberazione portano avanti istanze antitetiche ai valori della Resistenza (si pensi ad alcune manifestazioni anti-semitiche più che anti-sionistiche che hanno talvolta trovato ospitalità in queste occasioni) oppure di parte politica, come se la resistenza e la guerra di liberazione fossero state patrimonio di un singolo partito e non il frutto di una costruttiva collaborazione tra Italiani di credo politico diverso (come dimostra inequivocabilmente la stessa struttura multipartitica del CLN [1]).

Internati militari italiani fotografati all arrivo nel campo di prigionia – Credit Fondo Vialli Museo della Resistenza di Bologna

Forse questa celebrazione sottotono lascerà qualche spazio in più per approfondimenti   scevri da finalità politiche connesse alle dinamiche partitiche di oggi

Oggi, in Italia, quando ci si riferisce alla guerra di liberazione  il grosso pubblico pensa solo alla “resistenza” nei territori occupati dai tedeschi. Peraltro, anche di tale fenomeno si è venuta a radicare una visione di “guerra civile tra italiani ” più che di “guerra di liberazione dall’occupazione straniera”.

Tale “guerra civile” era però prioritariamente il frutto di un conflitto tradizionale e “simmetrico” combattuto sul territorio italiano tra anglo-americani e tedeschi. Non si trattava di una guerra civile endogena.

In questo conflitto i “militari” rimasero uno dei principali “attori” .

Il ruolo dei militari italiani nella guerra di liberazione, dall’8 settembre 1943  (data in cui venne reso noto l’”armistizio”) al 1° maggio 1945 (data in cui i generali Wolf  e von Viettinghoff firmano la resa incondizionata delle forze tedesche in Italia) si sviluppa secondo almeno quattro differenti modalità, tutte in realtà poco conosciute:

  • al di fuori del territorio nazionale, dove le nostre unità (che presidiavano ampi territori come truppe di occupazione) erano frammischiate a quelle tedesche, ma quasi sempre in situazione di inferiorità operativa se non numerica
  • nei campi di concentramento, offrendo un magnifico esempio di saldezza morale e di resistenza passiva, che indebolì notevolmente agli occhi dei tedeschi la credibilità della RSI;
  • nei territori del centro-nord Italia che dal 9 settembre furono di fatto occupati dai tedeschi, dove i militari furono tra i primi a costituire l’ossatura di quello che sarebbe poi divenuto il movimento partigiano
  • operando come Forze Armate regolari al fianco degli anglo-americani per liberare, armi in pugno, la Penisola.

La Guerra di Liberazione vide in prima linea soprattutto militari

Tutti aspetti conosciuti da pochi. Il più misconosciuto  tra tutti è comunque quello delle Forze Armate regolari che operavano a fianco degli Alleati.

Aspetto che  si è sempre tentato di accantonare, sia all’epoca sia nei tre quarti di secolo successivi.

All’epoca, in quanto molti italiani (anche nell’Italia liberata) volevano minimizzare un contributo alla liberazione che avrebbe potuto  essere  riconducibile ad una monarchia  che di fatto aveva perso ogni credibilità ( ignorando il fatto che quegli uomini non andavano a combattere per casa Savoia ma per l’Italia, indipendentemente dalla credibilità personale del sovrano).

L’atteggiamento al Sud, ovviamente, mutò dopo la “svolta di Salerno”, in quanto il “nuovo” governo godeva di ampio supporto da parte di quasi tutte le forze politiche nazionali .

Dopo la fine della guerra, non vi era interesse a evidenziare questo contributo (se non da parte delle Forze Armate stesse, che non lo seppero fare o, temo, non ebbero il coraggio politico di farlo).

Ciò in quanto il contributo dei militari non si prestava ad essere usato strumentalmente nella diatriba politica nazionale [2].

Peraltro, il contributo italiano è stato non solo politicamente, ma anche militarmente importante.

Certamente, una sua assenza non avrebbe modificato l’esito del conflitto, ma avrebbe influito sicuramente sulle tempistiche dell’avanzata alleata sul fronte italiano, che era un fronte “secondario” nella strategia anglo-americana, compromettendo anche le nostre  possibilità di contrastare le mire di Tito sul Friuli Venezia Giulia, che hanno provocato inenarrabili sofferenze agli Italiani di Istria, Dalmazia e Venezia Giulia..

Il Maresciallo Tito

Intanto occorre partire dalla condizione d’inferiorità politica delle forze italiane.

L’8 settembre del ’43, le nostre Forze Armate non erano sicuramente in condizioni ottimali! Erano state impegnate per tre anni (con armamenti ed equipaggiamenti non sempre adeguati alla situazione) in campagne dispersive, condotte senza una chiara visione strategica degli obiettivi nazionali.

Inoltre, dalla fine del ‘42 i nostri reparti erano, di fatto, in ritirata nei due fronti principali (quello africano e quello russo).

Considerando anche la gestione politica molto discutibile del periodo 25 luglio-8 settembre e l’assoluta impreparazione con cui si affrontò l’armistizio, ci si poteva aspettare che le nostre Forze Armate si sciogliessero come neve al sole di fronte alla macchina da guerra nazista. Così non è stato!

Possiamo dire che l’evento simbolo dell’avvio di questa riscossa sia avvenuto a Roma, a Porta San Paolo, dove nei giorni 9 e 10 settembre ’43, d’iniziativa e senza ordini, ufficiali e soldati di tutte le armi dell’Esercito Italiano hanno ingaggiato contro i tedeschi una lotta impari, che sapevano essere senza speranza, e per questo ancor più eroica.

Un momento della battaglia di Porta San Paolo, a Roma, il 10 settembre 1943

A loro si sono uniti uomini e donne di tutti i ceti sociali e di tutti i credi politici, a dimostrazione che in quella situazione di caos e di generale perdita di punti di riferimento, le Forze Armate, nonostante la crisi della politica e nonostante tre anni di guerra disastrosa, erano ancora ritenute, da buona parte dei cittadini italiani, le uniche rappresentanti della Nazione e dell’unità nazionale.

Non si trattò certamente di un evento bellico memorabile dal punto di vista militare, ma è stato un magnifico esempio di coesione del Popolo con il “suo” Esercito. Eventi simili, anche se di minor portata, sono avvenuti in tutto il Paese così come nei territori esteri ove i nostri soldati erano dislocati.

All’estero

Non starò a citare tutti i numerosi esempi, ma sappiamo che i reparti, abbandonati in isole sperdute dell’Egeo o nei Balcani da una direzione strategica per lo meno miope, spesso hanno resistito o hanno tentato di resistere contro i tedeschi, nonostante fossero in grave soggezione di forze.

Conosciamo i fatti di Cefalonia, grazie soprattutto all’attenzione che ha rivolto all’evento il Presidente  Carlo Azeglio Ciampi, ma non c’è stata solo Cefalonia! Fatti analoghi si verificarono in altre isole greche (a Corfù, a Rodi, a Lero, a Samo e a Santorini dove addirittura gli italiani capitolarono solo a fine novembre ‘43 ), così come in Corsica, e nei Balcani.

Alcuni militari tedeschi a Cefalonia

La sensibilità al riguardo del Presidente Carlo Azeglio Ciampi è anche dovuta alla sua storia personale: era anche lui un giovane tenente dell’esercito quel tragico 8 settembre’43.

Nei Balcani, in Francia, nelle isole, migliaia di militari italiani sfuggirono alla cattura da parte dei Tedeschi e parteciparono ai locali movimenti di liberazione nazionali, unendosi ai partigiani locali.

Particolarmente significativo fu il caso delle Divisioni “Taurinense” e “Venezia”, che si fusero nella Divisione “Garibaldi”, mantenendo in gran parte intatta la propria organizzazione gerarchica e ordinativa e combattendo a fianco dei partigiani jugoslavi fino alla fine della guerra.

I campi di concentramento:

Circa 640 mila soldati (sorpresi dall’8 settembre) furono catturati dai Tedeschi, in Italia o all’estero, e internati in campi di concentramento.

Non godevano dello “status” di “prigionieri di guerra” (cui le Convenzioni di Ginevra riconoscevano alcuni diritti), in quanto non considerati “belligeranti”, non avendo il governo italiano ancora dichiarato guerra alla Germani.

Furono sottoposti a trattamenti spesso disumani, cui avrebbero agevolmente potuto sottrarsi aderendo alla RSI.

Militari italiani internati

La maggior parte di loro decise di resistere e di non aderire alla RSI, nonostante fossero consci che sarebbero probabilmente morti nei lager (sorte che toccò a oltre 40 mila di loro).

La resistenza passiva di questi soldati rappresentò una gravissima sconfitta “politica” e di immagine  della RSI, facendo anche dubitare fortemente i tedeschi della credibilità che il Governo di Salò aveva nei territori italiani occupati.

La “resistenza” degli internati militari e quella dei reparti italiani all’estero era in un certo senso  la “resistenza” di chi pur lontano dall’Italia e privo di qualsiasi informazione sulla situazione, sentiva che la Patria non era morta e, in prigionia o in territori lontani, continuava a combattere per essa.

Partigiani con le stellette.

Nei “territori italiani occupati” i militari sono stati i primi a darsi alla guerriglia e sono stati gli elementi catalizzatori che hanno tentato di dare un’organizzazione e una qualche unitarietà al movimento resistenziale che stava nascendo spontaneamente, ma disordinatamente.

Ciò perché alcuni reparti si sono dati alla macchia già subito dopo l’8 settembre, mantenendo spesso, almeno all’inizio, la propria organizzazione e con quadri che avevano già molta esperienza bellica [3].

Molte formazioni mantennero la struttura militare e apartitica fino alla fine (si pensi alle “Fiamme Verdi “ o alle formazioni di Martini Mauri), ma molti erano anche i militari che operavano nell’ambito delle formazioni “Giustizia e Libertà [4]” e “Garibaldi [5]” , magari non condividendone l’orientamento politico , ma al fine di liberare l’Italia dall’invasore [6].

A Roma, non possiamo dimenticare il contributo fornito durante il periodo dell’occupazione dal Fronte Militare Clandestino guidato dal colonnello Montezemolo.

Il Colonnello Montezemolo

Ricordiamo che dei 335 trucidati alle forze Ardeatine, ben 69 erano uomini con le stellette.

È stato così dappertutto e troppo lungo sarebbe citare tutti gli eroi con le stellette della guerra partigiana! In tale contesto, vanno ricordate anche le centinaia di missioni di ufficiali e sottufficiali italiani paracadutati oltre le linee tedesche con compiti di collegamento con le formazioni partigiane, addestramento delle stesse e organizzazione di aviolancio di armi e munizioni a favore della “resistenza”, missioni poco conosciute ma essenziali per il coordinamento, l’addestramento e il rifornimento delle “formazioni partigiane”.

Missioni che sono state indispensabili per garantire l’organicità dell’attività resistenziale nei territori occupati .

In armi e in divisa a fianco degli Alleati.

Al “Sud”, dopo la dichiarazione di guerra alla Germania da parte del Governo Badoglio (ottobre ‘43) e il tormentato riconoscimento all’Italia dello status di cobelligerante da parte alleata, le ricostituite Forze Armate italiane parteciparono attivamente alle operazioni a fianco degli Alleati.

La firma dell’armistizio a Cassibile (3 settembre 1943)

Nonostante le iniziali resistenze politiche anglo-americane (tendenti a limitare il contributo italiano a mero sostegno logistico e lavoro nelle retrovie, al fine di non doverci riconoscere meriti di cobelligeranza), il primo nucleo di tali forze ebbe il battesimo del fuoco nella battaglia di Montelungo (dicembre 1943), dove s’immolò quasi al completo il 51° Battaglione Allievi ufficiali dei bersaglieri.

Si trattava di “combattere” sia contro l’ex alleato tedesco, che non perdonava quello che considerava un tradimento, sia contro i comprensibili preconcetti del nuovo alleato anglo-americano.

Gli Alleati, però, cambiarono presto idea. Ciò fu dovuto a vari fattori concomitanti.

Da un lato l’apprezzamento che i soldati italiani seppero guadagnarsi sul campo [7] dall’altro le molte difficoltà (non preventivate) incontrate dagli anglo-americani nel risalire la Penisola.

Difficoltà dovute sia alla inaspettata resistenza tedesca, che si avvantaggiava di un terreno ideale per la difesa e ostico per l’attaccante  (quale il nostro Appennino) sia al fatto che non disponessero di truppe addestrate ed equipaggiate per operare in montagna (operazioni alle quali le unità del Regio Esercito erano in gran parte particolarmente abituate).

Inoltre, la campagna d’Italia rappresentava una priorità solo per uno dei tre “grandi” Alleati: la Gran Bretagna di Churchill.

L’URSS premeva per un attacco alla Germania attraverso la Francia e anche gli USA (la cui priorità restava il Pacifico) privilegiavano l’attacco diretto alla Francia, lasciando in secondo piano il fronte italiano.

In conseguenza di ciò, a luglio ’44 vengono sottratte dal fronte italiano favore  dello sbarco in Francia meridionale [8] ben 7 divisioni (4 francesi e 3 USA) e parte consistente del supporto aereo.

Sottrazione di forze che rendeva indispensabile incrementare il contributo  di unità combattenti italiane alla campagna.

Nei difficili sedici mesi intercorsi tra la caotica gestione dell’8 settembre e la completa liberazione del Paese, le “nuove” Forze Armate italiane arrivarono a contare più di mezzo milione di uomini (400 mila dell’Esercito, 80 mila della Marina, 35 mila dell’Aeronautica).

Per quanto riguarda l’Esercito, il I Raggruppamento Motorizzato fu impiegato in prima linea da dicembre ‘43 a marzo ’44 (con una forza iniziale di 5 mila uomini e di 10 mila alla fine).

In seguito gli Alleati autorizzarono  la costituzione di una unità a livello  Corpo d’Armata (il Corpo Italiano di Liberazione [9]) che combatté da aprile ad agosto ’44.

A settembre ’44 si procedette alla costituzione di 6 Gruppi di Combattimento [10] (ciascuno con una forza di 10 mila uomini , in pratica vere e proprie Divisioni “binarie” , che gli Alleati non consentirono di chiamare così solo per motivi politici), di cui 4 saranno impiegati  nell’offensiva dell’aprile ’45.

Ma non si trattò solo dei Gruppi di Combattimento 

L’avanzata alleata non sarebbe forse stata possibile (e comunque sarebbe stata decisamente più lenta) se non fosse stata supportata e sostenuta sia nelle retrovie sia in prima linea dall’opera umile ma essenziale dei 200.000 uomini delle 8 Divisioni Ausiliarie [11] che  assicuravano i rifornimenti delle linee avanzate con reparti di “salmerie da combattimento”, il lavori stradali e ferroviari, il ripristino delle vie di comunicazione e la loro bonifica da ordigni esplosivi, il recupero e la riparazione dei mezzi alleati, la costruzione di accantonamenti e le funzioni di polizia militare, in pratica l’intera gestione dei flussi logistici dai porti sino alle prime linee, nonché la sicurezza delle retrovie.

La  Marina [12] operò a fianco delle marine alleate nel Mediterraneo nell’Atlantico, nell’Oceano Indiano e nel Mar Rosso, per compere  missioni antisommergibile, dragaggio zone minate e trasporto.

L’Aeronautica costituì l’Unità Aerea Italiana  su 3 raggruppamenti (caccia, bombardamento e trasporto, idrovolanti , per un totale di  15 “gruppi armati”).

L’attività dei primi 2 raggruppamenti fu essenzialmente nei Balcani in appoggio alla già citata Divisione “Garibaldi” e a formazioni partigiane jugoslave, mentre il terzo fece soprattutto scorta ai convogli navali alleati e caccia sommergibili.

L’importanza non solo militare ma anche politica di tale impegno fu evidenziata nel mirabile intervento di De Gasperi alla Conferenza di Parigi (10 agosto ’46). [13]

Il contributo di sangue

Ben 87.376 militari italiani sono caduti per liberare l’Italia tra l’8 settembre ‘43 e l’8 maggio ‘45, alcuni all’estero, altri in Patria, chi in reparti regolari chi in formazioni partigiane, ma tutti, indistintamente, tenendo fede al proprio dovere.

8 aprile 1945: la liberazione di Piacenza da parte dei partigiani comandati dal Tenente dei Carabinieri Fausto Cossau

Ben 365 militari sono stati decorati, quasi tutti alla memoria, di medaglia d’oro al valor militare per le loro attività nella guerra di liberazione (di questi 229 operavano nelle formazioni partigiane e 136 in reparti regolari).

In conclusione, in tutte le molteplici fasi e sfaccettature della Liberazione , periodo tragico ma  proprio per questo fondante per la nostra Repubblica, gli uomini con le “stellette” hanno avuto, sia individualmente sia collettivamente, un ruolo fondamentale.

Ruolo che troppo spesso viene (temo volutamente) dimenticato, sottaciuto o nascosto. Ruolo che in questo 76° anniversario, in silenzio e senza celebrazioni di piazza  che possano essere strumentali a diatribe partitiche attuali, abbiamo il dovere di ricordare e di far conoscere alle giovani generazioni.

 

NOTE:

[1] Comitato di Liberazione Nazionale, ovvero l’ organizzazione politico-militare  costituita  a Roma il 9 settembre 1943,  allo scopo di opporsi al fascismo  e all’occupazione nazista in Italia, che ha coordinato e diretto la resistenza nei “territori occupati” ed ebbe per delega poteri di governo nei giorni di insurrezione nazionale. Il CLN era composto da rappresentanti del Partito Comunista Italiano (PCI), della Democrazia Cristiana (DC), del Partito d’Azione (PdA), del Partito Liberale Italiano (PLI), del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP) e del Partito Democratico del Lavoro (DL)

[2] Si pensi ad esempio che Alessandro Natta (1918-2001) , segretario e poi presidente del PCI  negli anni ’80, e già internato militare in Germania dopo essere stato catturato a Rodi , poté pubblicare le sue memorie su quel periodo “L’altra resistenza. I militari italiani internati in Germania” solo nel 1997, proprio per l’opposizione del PCI a riconoscere un ruolo alla resistenza degli IMI

[3] Lo riconobbe qualcuno che non era certamente  vicino alle F.A., Luigi Longo, vice comandante del Corpo Volontari della Libertà e futuro segretario del PCI, che in proposito scrisse: “Vi erano soldati che fuggivano verso la montagna guidati dai loro ufficiali. Fuggivano per un’ansia di ribellione, ma con senso di disciplina e organizzazione. E fuggivano recandosi appresso la propria arma”. 

[4] Le formazioni “Giustizia e Libertà” si ispiravano al Partito d’Azione

[5] Le formazioni “Garibaldi” si ispiravano al Partito Comunista

[6] Ad esempio il Maggiore Paolo Caccia Dominioni, mitico comandante del XXXI guastatori ad El Alamein, operante in Lombardia nell’ambito di una formazione “Garibaldi” (ovvero con commissario politico comunista)

[7] Ciò soprattutto dopo l’avvicendamento in comando tra l Gen. Dapino e il Gen. Utili a gennaio 1944 e la brillante operazione degli alpini del battaglione  “Piemonte” a Monte Marrone

[8] Operazione Anvil (prevista ad aprile’44 ) poi posticipata  e ridenominata  Operazione Dragon (15 agosto ‘44)

[9] Costituito da Divisione Paracadutisti “Nembo”, I Brigata  e II Brigata

[10] Gruppi da Combattimento “Cremona”, “Friuli”,”Folgore”, “Legnano”, “Mantova” e “Piceno”

[11] Ottenute per trasformazione di Divisioni Costiere, 3 erano inserite nelle Armate combattenti (210^,212^ e 228^) e  5 operavano nelle retrovie (205^, 209^, 227^, 230^  e 231^)

[12] I reparti da sbarco della Marina operarono sia col CIL che con il GdL  “Folgore” , e molti marinai furono inseriti nelle Divisioni. ausiliarie dell’Esercito

[13] Delle Forze? Ma si tratta di tutta la marina da guerra, di centinaia di migliaia di militari per i servizi di retrovia, del «Corpo Italiano di Liberazione», trasformatosi poi nelle divisioni combattenti e «last but not least» dei partigiani, autori sopratutto dell’insurrezione del nord. Le perdite nella resistenza contro i tedeschi, prima e dopo la dichiarazione di guerra, furono di oltre 100 mila uomini tra morti e dispersi, senza contare i militari e civili vittime dei nazisti nei campi di concentramento ed i 50 mila patrioti caduti nella lotta partigiana. Diciotto mesi durò questa seconda guerra, durante i quali i tedeschi indietreggiarono lentamente verso nord spogliando, devastando, distruggendo quello che gli aerei non avevano abbattuto”.

* Generale di Corpo d’Armata (Ris) 

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