Politica estera, la débâcle italiana a vantaggio dei successi francesi

Di Marco Pugliese

Roma. Correva l’anno 2011 e la Libia veniva attaccata dalla Francia. Iniziò in quella circostanza la parabola discendente della politica estera italiana, una collezione impressionante d’ occasioni perse. La Libia a ferro e fuoco, i contratti riguardanti gli idrocarburi saltati, le installazioni italiane a rischio.

La questione libica è sempre di attualità

Neanche il tempo di ragionarci ed al Governo Monti (nel frattempo esautorato Silvio Berlusconi) si trova la “grana Marò”. L’ Italia trattata come stato “canaglia” dall’India, accusata a senso unico e lasciata sola dalla Ue. (agli esteri d’ Europa l’inglese Ashton, evanescente)

Risultato? Gli elicotteri agli indiani furono venduti dai francesi con grave danno per Finmeccanica che aveva già in mano i contratti. Palese che l’India abbia usato il caso Marò per ottenere sconti sulle commesse militari.

Il caso diplomatico e giudiziario dei due marò sconvolse la politica italiana

L’Italia restò con un pugno di mosche, una dinamica dell’accaduto ridicola ed i militari trattenuti all’estero. Caso più unico che raro, come non ricordare la tragedia del Cermis, in cui un aereo americano tranciò i cavi della funivia provocando 20 morti? In quel caso le colpe americane erano più che evidenti ma il capitano Richard J. Ashby, pilota dell’aereo, ed il suo navigatore furono sottoposti a processo negli Stati Uniti (non in Italia) e assolti dalle accuse di omicidio preterintenzionale e omicidio colposo rispettivamente, omicidio involontario e per negligenza secondo l’ordinamento statunitense.

In seguito, furono riconosciuti colpevoli di ostruzione alla giustizia e condotta inadatta a un ufficiale per aver distrutto il nastro video registrato sull’aereo e pertanto congedati d’autorità dal corpo dei Marines. Assai diverso dall’atteggiamento italiani con i propri militari, messi in croce perfino da parlamentari nostrani, senza processi per giunta. L’ Italia con l ‘India non si mostro tenace e pagò su altri tavoli la mancanza d’approccio.

Nel 2013 al cambio di governo, il timido Enrico Letta non mutò la politica estera del Paese. Solita melina, dichiarazioni di circostanza mentre in Libia i nostri interessi andavano evaporando. Nel 2014 è la volta di Matteo Renzi. Il giovane democratico si presenta come deciso e convinto e qualche piccolo risultato in India porta a casa, sempre a metà però.

Anzi lo smacco per l’ Italia arriva anche dall’Afghanistan, dal 2006 le Forze Speciali italiane sono sotto comando NATO. Nel 2014 si preferisce non prenderne il diretto comando, forse è un bene visto che dal 2010 con la protezione di queste corpi le nostre truppe hanno subito perdite quasi nulle. Quasi una volontà di non difendersi ufficialmente. I nostri militari però lavorano sempre bene, infatti dichiarazioni come queste non sono casuali:

«Non voglio rivelare dettagli. Posso solo dire che ho potuto osservare il lavoro e la professionalità di quella squadra (n.d.r.: Task Force 45). Credo che gli italiani sarebbero orgogliosi dei loro soldati»

(Stanley A. McChrystal, generale statunitense Comandante dell’International Security Assistance Force (ISAF)

Nel mantenere l’ottima missione in Libano il Governo Renzi si spinge in dichiarazioni su possibili interventi in chiave anti Stato Islamico. Ci si limiterà alla ricognizione, quasi sottovoce. In Iraq, a Mosul, gli italiani presidiano una diga, ma nel silenzio generale. Anzi, nel frattempo il nostro Governo firma accordi scellerati per la gestione dei flussi migratori.

Una vera spada di Damocle con in aggiunta il muro Ue. Ciliegina? In Egitto scoppia il caso Regeni. Il ricercatore viene scaricato dagli inglesi (che non rinunciano ai propri interessi) e Roma da buona tigre di carta fa la voce grossa. Guadagno? Esclusione dell’Italia dal quadro egiziano, perdita delle commesse (a favore dei francesi) e mancato ponte con i russi. Arrivano anche le prime minacce all’Italia da parte dello Stato Islamico.

“Siamo pronti a combattere” si lascia scappare l’allora ministro degli esteri, Paolo Gentiloni. In realtà non è casuale, la missione in Libia sembra ormai concordata con il Presidente Usa, Barack Obama. Ma Renzi non se la sentirà e le dichiarazioni andranno scemando. L’onda d’attentati in Europa non muta la nostra politica attendista che in alcuni tratti è autolesionista.

Renzi batte (inutilmente) i pugni in Europa, sacrifica il capo della Marina ma il suo Esecutivo non avanza sui tavoli internazionali, anzi arretra bruscamente. Non arriva l’aiuto sperato nemmeno dalla Mogherini, il cui ruolo appare svuotato proprio dal suo insediamento. Renzi, da buon premier “nazionale” punta a problemi interni e s’incarta intorno alla spirale del referendum che ne sancirà la caduta.

Solita veduta nazionale ristretta, una vera iattura per un Paese che strategicamente non se lo può permettere. Caduto Renzi il problema immigrazione si è fatto sempre più rilevante. Le navi delle Ong libere di scorazzare nelle nostre acque ed attraccare nei nostri porti, l’ultimo fendente alla nostra credibilità internazionale.

Può un Paese NATO scendere a patti con enti privati – su cui vi sono indagini e sospetti gravissimi -, non può. Infatti Austria, Lettonia e Repubblica Ceca hanno subito bacchettato l’ Italia, ovvero un Paese che in termini di contributi NATO ne mantiene la sicurezza nazionale.

Ormai pare che tutti al mondo possano dire agli italiani come comportarsi. Hanno poco da lamentarsi a Roma e dintorni, esser attendisti senza piani porta a non contare nulla. Nel nostro caso in queste ore ci troviamo un generale libico invece pronto a bombardare le nostre navi. Boutade? Può essere, ma già il solo si permetta di minacciare la terza forza NATO è indicativo. Il bilancio dal 2011 al 2017 in politica estera è negativo, aggiungiamo anche il voltafaccia del Presidente francese, Emmanuel Macron con Fincantieri, contiamo meno e soprattutto non reagiamo, sembriamo in balia della politica degli altri.

Tutto questo il contribuente italiano lo paga in tasse, la nostra inerzia ci costa circa 25 miliardi annui (tra accoglienza, mezzi, welfare, mancate commesse e molto altro), soldi che invece farebbero comodo per investimenti nel Paese e soprattutto per il Paese, che nel paradosso, non sembra al centro dell’agenda della nostra classe dirigente.

 

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