SPECIALE 4 NOVEMBRE: Armando Diaz, il Generale della Vittoria

Roma. Con le tre Battaglie del Piave ha riportato le vittorie più importanti della storia militare italiana ma, tra i Capi di Stato Maggiore, è una delle figure meno studiate. Nel centesimo anniversario della Vittoria nella Grande Guerra, lo Stato Maggiore dell’Esercito ha, così, deciso di ricordare il Generale Armando Diaz con diverse iniziative volte a rendere “un doveroso omaggio a colui che meglio ha rappresentato il riscatto dell’Esercito e dell’intera Nazione italiana dopo il disastro di Caporetto e il cui nome è intimamente, indissolubilmente legato ai due nomi più cari e più gloriosi della nostra storia degli ultimi cento anni: il Piave e Vittorio Veneto”.

Per tracciare un profilo quanto più esaustivo del Generale Diaz, risulta di particolare interesse la narrazione emersa dal convegno scientifico sul tema “L’ultima Battaglia – Armando Diaz e il suo Esercito”, svoltosi  lo scorso 25 ottobre presso la Biblioteca Militare Centrale di Palazzo Esercito grazie alla collaborazione tra lo stato Maggiore dell’Esercito, la famiglia Diaz e numerosi storici del panorama accademico italiano.

Il tavolo dei relatori

 

“Aver cura del morale e del benessere dei soldati, provvedere al loro equipaggiamento, focalizzare lo sforzo sulle unità operative e sulla cooperazione tra le varie Armi, dialogare senza essere sottomesso alle istanze degli Alleati, tenere rapporti sereni e costruttivi con le Autorità Governative e adoperarsi per far sopportare lo sforzo bellico da tutte le altri componenti della società nazionale, sono qualità altrettanto valide per un Comandante moderno”, ha affermato il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Generale di Corpo d’Armata Salvatore Farina, definendo la figura del “Duca della Vittoria” come quella “di un comandante esemplare”. 

Durante il suo intervento sulla storiografia militare, il prof. Andrea Ungari ha sottolineato come, oggi, “sarebbe opportuna una nuova riflessione sula figura di Diaz che ne evidenziasse il ruolo e la sua azione di Comando nell’ultimo anno di guerra”. È, infatti, emerso come, sia in Italia che all’estero, sia ancora presente una convinzione storiografica che attribuisce a Diaz la colpa di non aver saputo cogliere e approfittare della debolezza austriaca prima del crollo dell’ottobre-novembre 1918, quando la guerra era di fatto terminata e la vittoria italiana guadagnata ai danni di un avversario già a terra. Una convinzione che restituisce l’immagine di un esercito italiano prima recalcitrante ad attaccare e poi vittorioso solo grazie ai reparti britannici. Tuttavia, come ha sottolineato, il Generale di Brigata Fulvio Poli nella sua relazione su “Armando Diaz e la riorganizzazione dell’Esercito nel 1918” la controversa decisione di Diaz, di rimandare l’attacco, ancorché opinabile a posteriori, appare tutt’altro che immotivata. Centrale, fa notare Poli, è, ad esempio, la scelta del Generale Diaz di non richiamare i giovani  della classe del ‘900. Con un esercito stremato e faticosamente ricostruito, per colmare i vuoti, sarebbe, infatti, stato necessario impiegare i 250mila diciottenni del 1900 e, in seguito, i ragazzi delle scuole. Dopo aver respinto l’ultima offensiva nel giugno del ’18, Diaz, nonostante le pressioni dei politici e degli alleati, conscio che l’esercito non avrebbe retto a un altro salasso di sangue, decise, invece, di tenere le risorse compatte in attesa del momento idoneo per la battaglia finale. 

Ad emergere nel corso del convegno, sottolineato dalla relazione del dottor Federico Goddi incentrata sulla figura di Diaz come uomo e comandante, è l’aspetto umano del Generale. Oltre al rispetto per i costi umani del Paese, Goddi ha ricordato l’indole non autoritaria di Diaz che lo differenzia da Cadorna e un’attenzione non comune verso i soldati. Tra gli aspetti illustrati nel corso degli interventi, vi sono, ad esempio – come ha ricordato Poli – l’ordine impartito agli ufficiali “di vivere la stessa vita delle truppe, le stesse gioie e dolori dei loro soldati”, il tassativo rispetto dei turni di riposo, la giusta proporzione nella concessione delle ricompense al valore tra ufficiali e soldati, l’introduzione di polizze assicurative gratuite sulla vita, il permesso di visita dei parenti al fronte e ai malati e, soprattutto, la sostituzione dell’uomo, ove possibile, con nuove armi. Pare inoltre che se in Italia siamo patiti di calcio e amanti del caffè la colpa sia proprio del Generale Diaz. Il calcio veniva, infatti, usato da Diaz per fare team building tra i soldati e il caffè, all’epoca appannaggio esclusivo delle classi borghesi più abbienti, venne introdotto dal Generale nella colazione dei soldati per tenerli ben svegli. Abitudini che i soldati continuarono ad adottare una volta tornati in Patria.  

Se in bene e in male tutto è stato detto di lui, nessuno aveva mai ricostruito la storia dei suoi antenati. Un difficile lavoro di cui si è occupato il dottor Fabio Cassani Pironti che ha illustrato agli intervenuti alcuni aspetti inediti della genealogia di Armando Diaz. Ulteriori aspetti sono stati affrontati dal prof. Maurizio Ferrante Gonzaga che parlato del rapporto creatosi dopo il 1917 tra il Generale Diaz e suo nonno Generale Ferrante Gonzaga, ferito gravemente sul Natisone sbarrando l’avanzata nemica a Caporetto mentre il professor Alfonso de Ceballos-Escalera ha raccontato curiosità sull’araldica del titolo di Duca della Vittoria. 

Sempre attento a mantenere alto il morale dei soldati, autore di una riorganizzazione dell’Esercito volta a rendere la struttura di comando meno centralizzata, promotore di un maggior ricambio dei reparti al fronte, abile diplomatico nei rapporti con il Governo di Roma e gli alleati seppur fermo nelle sue decisioni, di sé, in una lettera allo storico Antonio Lumbroso, Diaz scrisse: “Vede, io non mi fo illusioni su me stesso, ma posso dire in tutta sincerità che ho avuto un merito: quello di equilibrare tutte le forze e tutti gli ingegni altrui, quello di far regnare la calma fra i miei generali e la fiducia nelle mie truppe; è già molto, sa, creare attorno a sé l’equilibrio, affinché ognuno dia il più e il meglio che può. Di questa mia opera equilibratrice sono fiero e so che è stata la mia caratteristica”. 

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