Guardia di Finanza: operazione anti-mafia congiunta con Carabinieri e Polizia di Stato a Messina. Arrestate 33 persone tra boss e affiliati dei clan “Lo Duca” e “Sparacio”

Di Mariateresa Levi e Dario Gravina

Messina. È stata condotta stanotte, ed è ancora in corso di esecuzione, una maxi-operazione antimafia condotta da personale della Guardia di Finanza, dei Carabinieri e della Polizia di Stato che ha portato all’arresto di 33 persone all’esito di una lunga attività d’indagine condotta dalla Procura Distrettuale Antimafia di Messina.

L’operazione, convenzionalmente denominata “Provinciale”, è il risultato di altre indagini che i finanzieri del GICO, i carabinieri del locale Comando Provinciale nonché i poliziotti della Questura messinese, stavano da qualche tempo conducendo sul conto di alcuni sodalizi criminali di stampo mafioso attivi nella città dello Stretto e specializzati in attività criminose tipiche di queste strutture quali il racket delle estorsioni ed il traffico di sostanze stupefacenti, ma anche del controllo di attività economiche come quelle della ristorazione, del gioco e delle scommesse su eventi sportivi.

Le indagini, più nel dettaglio, hanno interessato alcuni quartieri cittadini dove le consorterie criminali in questione esercitavano la loro influenza, vale a dire i rioni di “Provinciale” (da cui ha preso nome l’operazione), “Fondo Pugliatti” e “Maregrosso” dove noti esponenti di mafia dettavano la loro “legge” senza andare troppo per il sottile, esercitando un controllo capillare su tutte le attività ivi presenti come anche per le “divergenze” che ogni tanto sorgono tra malavitosi.

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Significativa, proprio al riguardo, è stato l’interessamento che il presunto mafioso ha avuto nel rapimento temporaneo di minore per il quale la madre aveva chiesto l’intercessione del boss. Il ragazzo, infatti, aveva pubblicato su Facebook alcune frasi offensive nei confronti di un pregiudicato e questi lo aveva così “trattenuto” per fargli pagare l’offesa, almeno fino a quando non è intervenuto il boss in questione che ha così messo fine alla vicenda senza che venisse sporta alcuna denuncia.

La forza intimidatrice dei mafiosi sta infatti anche in questi gesti, per i quali fanno credere di poter sostituire lo Stato in nome di una “giustizia” che, naturalmente, è esercitata secondo le loro convenienze e senza alcuna possibilità di appello.

Le intercettazioni e le altre attività di p.g. che per quasi due anni gli investigatori dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e della Polizia di Stato hanno condotto, hanno peraltro rivelato come il sodalizio del presunto mafioso facesse sistematicamente ricorso alla violenza per far valere il proprio potere, con frequenti pestaggi e spedizioni punitive varie che piegavo sul nascere ogni forma di resistenza alla loro egemonia, ma anche per recuperare i crediti sorti nel traffico di sostanze stupefacenti o nella gestione delle scommesse.

La “base operativa” di Lo Duca era curiosamente rappresentata dal bar della sorella, dove il mafioso era solito trascorrere le sue giornate in apparente tranquillità ma dove invece riceveva i suoi “picciotti”, pianificando le varie attività delinquenziali nonché incassando le quote delle scommesse per conto di un allibratore straniero privo della prevista concessione. Un esercizio commerciale funzionale agli scopi criminali del boss, ma che i militari dell’Arma hanno ora sequestrato su disposizione dell’Autorità Giudiziaria inquirente.

Lo spessore criminale di Giovanni Lo Duca non era stato neppure scalfito dai 13 anni di carcere che aveva dovuto scontare per associazione mafiosa e che lo avevano peraltro costretto al regime di detenzione previsto dall’articolo 41/bis dell’Ordinamento Penitenziario, ma al termine del quale aveva comunque ripreso le redini sulle attività delinquenziali perpetrate nel mandamento di sua competenza ed in cui nessun’altra attività poteva nascere se non dietro il suo preventivo “placet”.

Come già accaduto molte volte in casi simili, non sono mancate neppure commistioni tra esponenti della politica locale e le famiglie mafiose, e quest’indagine ne ha rivelato un ulteriore episodio del quale sono stati protagonisti un candidato al Consiglio Comunale di Messina per le elezioni del 2018 (poi non eletto), accusato del reato di voto scambio poiché ha corrisposto la somma di 10.000 euro al clan Sparacio al fine di garantirsi il loro “sostegno” elettorale.

Quello degli Sparacio è indubbiamente un nome di peso della criminalità organizzata messinese, ed una prova in questo l’ha rappresentata il funerale di Rosario Sparacio, deceduto ad aprile 2020, per il quale fu comunque organizzato un corteo funebre in pieno lockdown nonostante le severe restrizioni che avevano interessato tutto il territorio nazionale.

 

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